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La scalata di Berlusconi al Quirinale è piena di trappole e dubbi

Francesco Storace
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Il giorno dopo Villa Grande il centrodestra è ancora schierato come servizio d’ordine a difesa leale del Cavaliere. Silvio Berlusconi è oggetto di una campagna denigratoria da parte di sinistra e Cinque stelle alla quale si risponde colpo su colpo.

Ma il problema resta la base parlamentare: non bisogna commettere errori se si vuole giungere all’obiettivo stabilito nel vertice con il sostegno alla candidatura del leader azzurro al Quirinale. Letta e compagnia sparano sul «candidato divisivo» e tocca ai capigruppo della Lega alle Camere, Molinari e Romeo, ricordare al segretario del Pd del periodo in cui proprio lui elemosinava i voti del Cavaliere per formare il suo governo. Allora andava bene. Adesso mister B torna ad essere il nemico numero 1 contro cui insorgere.

Poi, c’è l’odore di nuove manovre per «costringere» Sergio Mattarella a ripensarci, e la contraerea parte con toni diretti da Matteo Salvini e in maniera più cifrata dal capogruppo alla Camera di Fdi, Lollobrigida. Il Capo dello Stato ha detto no a restare presidente e a sinistra insistono perché non hanno carte da giocare, salvo Mario Draghi, ma poi ci sarebbe il problema di un nuovo esecutivo.

È evidente che ognuno deve dimostrare ai grandi elettori che non si scherza. Anche perché c’è la vera incognita rappresentata da mille parlamentari che sanno che ci sarà posto – nella prossima legislatura – solo per seicento, trecento dei quali non sanno ancora se potranno contare sulla ricandidatura e rielezione.

Nel corpaccione parlamentare potrebbero esserci grandi sorprese per entrambi gli schieramenti e tutto può succedere. Lo teme Letta, che vorrebbe proporre un incredibile Aventino per impedire voti non di centrodestra in direzione Berlusconi; lo temono Salvini e Meloni di fronte ad un attacco denigratorio intollerabile verso il fondatore del centrodestra. L’incertezza è ancora enorme.

Se ogni giorno una decina di parlamentari ti chiamano – o messaggiano via whatsapp - per sapere se ci sono notizie, «che pensi, chi farà il Presidente», ovvero quello che devono votare loro, vuol dire che rischia di vincere il generale Dubbio. È bene coinvolgere al massimo i gruppi parlamentari, se ci possiamo permettere. Oltre agli scoiattoli servono anche buone zanne contro il nemico in una partita che registra già toni troppo alti.

Sarà bene verificarli con cura i voti di cui Berlusconi si dice già certo oltre il centrodestra. Si dice che i conti si faranno in settimana. Oppure il Cavaliere intende affrontare quei numeri direttamente alla quarta votazione? Anche qui, pensarci bene.

Quei parlamentari fuori coalizione stanno cominciando ad alzare il prezzo. Tutti quelli che stanno raccontando ai giornali i loro «no» a Silvio in realtà vogliono vendere cara la pelle. Ecco perché, se da un lato gli alleati fanno benissimo a sostenere con sincerità Berlusconi, dall’altra assieme a lui farebbero cosa buona e giusta a coltivare un piano B per non perdersi un minuto dopo il quarto scrutinio se non ci dovesse essere l’adesione maggioritaria di deputati e senatori alla candidatura al Colle.

L’auspicio è che si riescano a coinvolgere parlamentari che poi sappiano mantenere la parola. Ed è necessario discutere seriamente anche con Matteo Renzi, se davvero si vuole conquistare a pieni voti il Palazzo più importante della Repubblica.

Salvini si muove lungo l’asse Berlusconi al Colle e Draghi a Palazzo Chigi. Il premier ci starà o si farà infinocchiare da una sinistra terrorizzata alla sola idea di non dominare più dal Quirinale? Sicuramente, il rischio maggiore che corre il centrodestra è quello di spaccarsi e questo non deve avvenire. Il «no» alla legge elettorale proporzionale è un buon segnale di compattezza, anche se macchiato dal rifiuto dei parlamentari di Toti e Brugnaro a sottoscrivere l’impegno, ma deve essere comunque vincolante per i tanti che lo hanno firmato.

Poi, anzi subito, c’è la partita del governo post-Quirinale. La Meloni non è disponibile, Salvini sì e magari alla condizione dell’esecutivo dei leader, che sarebbe la via migliore per la ripartenza e anche per questo da sinistra ricominceranno i veti... Insomma, le trappole sono tante e bisogna stare con gli occhi – e le orecchie – ben spalancati.

Alla compattezza del centrodestra comunque potrebbe venire in soccorso la furia di una sinistra tornata trent’anni indietro nel suo antiberlusconismo: in rapida sequenza ieri ci sono state dichiarazioni, da Enrico Letta in giù, che facevano a gara nel negare agli avversari persino il diritto di proporre la candidatura per il Quirinale. 
E il solito Boccia ha addirittura sorpassato in arroganza il segretario del suo partito: «Non si può votare proprio nessuno del centrodestra». Chiamatela istigazione ad essere compatti, il Pd vuole continuare a comandare anche senza voti.
 

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