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Sulla partita del Colle Draghi è troppo ambiguo

Francesco Storace
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Non che uno pretendesse dai giornalisti un tipico e romanesco «ma te posso dà der tu» al presidente del Consiglio. E nemmeno ci si può accontentare che stavolta i giornalisti non lo abbiano applaudito al suo arrivo. C’era attesa per le dichiarazioni annunciate dal premier per ieri; lo si aspettava al varco per il Colle, ma lui ha preteso la mordacchia.

E però che diamine, una punturina come si deve a Mario Draghi ci sarebbe stata bene. Perché quell’atto imperiale – «sul Quirinale non rispondo» – a casa mia vuol dire solo che ci sta pensando eccome, ma non sa ancora come arrivarci. Sa solo che non deve indispettire chi dovrebbe votarlo, impresa che finora non gli è riuscita benissimo.
In fondo, a SuperMario sarebbe bastato dire: «È inutile che mi chiediate del Quirinale perché non mi candido alla Presidenza della Repubblica». Sarebbe stato definitivo, invece il premier ha preferito dribblare. È rimasto ambiguo, non trasparente, ad una quindicina di giorni dal voto per il Colle. Bisognerà fare i conti con la sua ambizione, ma non è detto che sia sufficiente per la scalata.

Da parte sua prevale la voglia di mantenere le carte coperte e c’è da chiedersi se Draghi abbia compreso che anche lui deve qualcosa alla pubblica opinione, che non ama essere gabellata. Al Quirinale ci si sta per sette anni e se ci va il presidente del Consiglio si deve formare un nuovo governo: è assolutamente normale – e democratico – che si pretendano risposte serie sul tema.

«Il governo va avanti bene finché c’è voglia di lavorare insieme»: a sentire una frase del genere, pronunciata dal presidente del Consiglio, uno pensa che voglia rimanere a Palazzo Chigi. Poi sembra una finta, perché certo Draghi non ignora le prese di posizione dei partiti, dalla Lega a Forza Italia, che lo bullonano al governo. E non è che nel resto del Parlamento siano così entusiasti, soprattutto per il rischio reale di elezioni anticipate.

E del resto è anche normale che alle Camere la si pensi così, per una sostanziale incompatibilità costituzionale non solo tra le due cariche – al Quirinale come a Palazzo Chigi – ma anche per una questione politica di fondo che non può sfuggire a nessuno. Se il premier governa bene, deve continuare a farlo. Se non governa bene, non è che il Colle si trasforma in un premio di consolazione.

Ecco, è una questione di trasparenza, rispondere alle domande sul tema è un dovere in più e non in meno. Invece, Draghi ha preteso di glissare alle domande di Monica Guerzoni del Corriere e Ilario Lombardo de La Stampa. «Accolgo la sua domanda per la parte accettabile», è un modo davvero brutto di interloquire con i giornalisti che stanno lì a cercare di capire che cosa può succedere in Italia entro un paio di settimane. Dal semipresidenzialismo di fatto vaticinato fino a poco tempo addietro, ad una specie di semimonarchia di nuovo conio. Ma così non funziona e si rischia di andare a sbattere.

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