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L'irrilevanza dei partiti e la regia della cabina

Arnaldo Magro
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La cabina di regia si dice, meglio si diceva, nel mondo della televisione per indicare il sancta sanctorum del regista di un programma del piccolo schermo, la stanza dalla quale si controllano le telecamere in studio, gli audio, le luci, i collegamenti esterni, insomma la sala comandi. La cabina di regia in politica nacque con Bettino Craxi ai tempi del pentapartito Dc-Psi-Pri-Pli-Psdi. Il 5 agosto 1983, il giorno dopo il battesimo del suo governo, il leader socialista varò il consiglio di gabinetto. Un organismo in cui sedevano i principali esponenti dei partiti di maggioranza, una specie di «camera di compensazione» per impedire che le eventuali tensioni in maggioranza si riverberassero negativamente sul governo. E da allora nessuno ha più fatto a meno della cabina di regia.

 

 

Oggi che i partiti sono ectoplasmi o al massimo parvenze di comitati elettorali permanenti, la cabina di regia ne certifica l'irrilevanza. È la politica che, convinta così di sopravvivere, si affida ai tecnici, a organismi terzi, percepiti come alcuni signori seduti intorno a un tavolo rotondo in qualche stanza di Palazzo Chigi che decidono cose. Per cui qualsiasi decisione, soprattutto in questi tempi di pandemia, può essere ascritta alla mitica cabina di regia. Lo sa perfettamente il ministro Speranza, che grazie alla regia, si vede liberato da ogni qualsivoglia decisione e responsabilità. Le decisioni della cabina, sono come le sentenze giudiziarie. Le si accettano e quando convengono, senza manco poterle commentare. Così ci ha insegnato la sinistra. Al cittadino è consentito nutrire dunque, un solo dubbio: di chi sia la regia della cabina... 

 

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