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Draghi al Colle, il centrodestra si mette di traverso. E ha tre carte da giocare

Francesco Storace
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Se al mattino Mario Draghi fa brillare i fuochi artificiali all’interno della sala allestita per la conferenza stampa in cui annuncia di essere pronto per il Quirinale, nel pomeriggio ecco la contraerea: il centrodestra – almeno quello di governo – lo ha votato per un’altra carica  che ha sede a Palazzo Chigi, e lì sta bene.

 

Sembra che si debba votare domattina per il Colle e invece manca circa un mese o poco più. Ma ormai non si parla d’altro. Ed è evidente che i riflettori ancora più incandescenti ha deciso di accenderli il premier. A Palazzo Chigi può starci pure un altro, dice Draghi, il lavoro ormai è stato fatto («Abbiamo conseguito tre grandi risultati. Abbiamo reso l’Italia uno dei paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi. Abbiamo creato le condizioni perché il lavoro sul Pnrr continui»). E verrebbe da chiedergli allora perché lo stato di emergenza debba durare fino a marzo. E poi: chi, se non lui alla guida del governo?

 

Oggi il centrodestra si vedrà con tutte le sue componenti a casa Berlusconi - a Villa Grande - e ovviamente ne dovrà discutere. Salvini ha convocato tutti a partire dalla Meloni. Ci saranno anche Lorenzo Cesa, Maurizio Lupi e Giovanni Toti.

E se è vero che Berlusconi e Salvini dicono di voler parlare di tasse e come ridurre i costi dell’energia, non si troverà un solo cronista disponibile a credere che il Quirinale non sia la portata principale del pranzo. Sul leader azzurro già si sa della forte irritazione per le parole di Draghi. Anche perché al Quirinale vuole andarci lui ed è convinto di avere i numeri parlamentari per riuscire nell’impresa.

 

Sia il presidente di Fi che il capo della Lega la sfangano invitando piuttosto Draghi a continuare nella sua azione di governo (e qui magari si metterà a verbale il dissenso di Giorgia Meloni, ma il punto ormai non è più questo, la leader di Fdi vuole andare alle elezioni e governare col centrodestra). E il messaggio al premier appare chiaro da quello che trapela ai piani alti della coalizione: noi abbiamo votato Draghi a Palazzo Chigi. Se vuole traslocare - sempre se si trovi un’intesa ancora tutta da raggiungere - dobbiamo sapere prima chi vorrebbe portare alla guida del governo e anche con quali ministri.

Già, perché nel caso dell’attuale gabinetto, è storia nota che i ministri se li sia scelti Draghi praticamente in tandem con Sergio Mattarella. Se si dovrà arrivare a un nuovo governo, ci si scordi un esecutivo costruito in solitaria, per di più con una specie di prestanome a Palazzo Chigi. Saranno i partiti a decidere nomi e cognomi. Su questo, in particolare Salvini sarà irremovibile. Non è più il tempo di inghiottire persino il veto al Viminale contro di lui. E se rimanda ogni discussione ufficiale a gennaio, è perché non tutti i tasselli sono ancora al loro posto.

 

Perché non è un bene che Draghi vada al Colle? Salvini è netto: «Il Paese sta attraversando momenti difficili. Ogni incognita è un rischio. La stabilità è un valore aggiunto». E se non ci sarà Draghi a Palazzo Chigi chi la potrà garantire se non i partiti? 

Come accade sempre in politica, per vincere la mano - raccontava ai cronisti in erba Vittorio Orefice - devi avere almeno due mosse a disposizione. Mandi il cavallo buono al Quirinale o lo tieni a Palazzo Chigi. E se per un motivo o l’altro tutto precipita, l’opzione elettorale non può certo spaventare il centrodestra: e così sarebbero almeno tre le carte da giocare. Presidenza della Repubblica, governo, elezioni. Rien ne va plus.

Lungo la stessa linea si muove anche Silvio Berlusconi: il premier dovrebbe continuare a governare il Paese fino alla scadenza naturale di questo Parlamento. È il convincimento espresso dal capo di Forza Italia durante un saluto di Natale nel corso di una riunione con gli europarlamentari azzurri. Secondo quanto è trapelato, il leader di Fi - «certo non entusiasta» dell’iniziativa del presidente del Consiglio - ha sottolineato che «grazie alla nostra iniziativa politica, in Italia, abbiamo fatto partire l’esperienza dell’unità nazionale guidata da Mario Draghi. Questo governo rappresenta una esperienza di grande successo e vorremmo continuasse, senza scossoni, fino alla fine della legislatura».

Di più. La sintonia tra i due leader del centrodestra di governo è riscontrata anche da altre annotazioni di esponenti autorevoli, che confidano però nell’anonimato (non si sa mai...). Da una parte c’è chi, come un big leghista, torna sulla tesi della recente decisione di Draghi per il contrasto alla pandemia: «Se ha detto di aver prorogato lo stato di emergenza per necessità, quindi, come detto da Salvini negli scorsi giorni, è giusto che rimanga lì. Si resta su questa linea perché non si può interrompere il lavoro iniziato».

Dall’altra, si mastica amaro in casa azzurra. «In fondo - racconta chi è di casa dalle parti di Arcore - Berlusconi ha fatto di tutto per aiutare il premier. E quello se ne esce così?». E quando in politica si arriva alla parola «quello» vuol dire che il distacco si sta approfondendo. Non è certo figlia del caso la nota diramata da Forza Italia dopo la conferenza stampa del mattino: «Confermiamo la stima e il grande apprezzamento per il difficile lavoro che sta portando avanti Draghi. Per questo motivo Fi si augura che l’azione del governo possa proseguire nei prossimi mesi con la necessaria continuità e la medesima energia».

Sin dalle prossime ore, ogni dichiarazione dovrà essere letta in controluce e soprattutto dovranno essere seguite le mosse dei partiti, in particolare quelli di centrodestra. Se non ci stanno Lega e Forza Italia può aprirsi una stagione politica abbastanza complicata. E resta da vedere quale sarà la reazione di Draghi.

Finora il premier ha mostrato di ascoltare ma non sentire le richieste dei partiti che sostengono il suo governo. Ogni mossa fuori da quel perimetro va concordata e prima o poi dovrà comprenderla anche lui.

 

Poi, certo, i conti vanno fatti anche con l’altra metà - un po’ meno - del Parlamento. Pd e Cinque stelle sono costretti a giocare di rimessa, a meno che il centrodestra non si metta a litigare al proprio interno. E forse proprio per questa è stata tempestiva la convocazione odierna a Villa Grande: se c’è la motivazione a vincere la partita del Quirinale - dopo troppi anni di presidenze di uomini legati alla sinistra - l’obiettivo non diventa impossibile. Basta che decidano di giocare sul serio. Se sono bravi, si riprendono il mazzo di carte che sta nelle mani di Draghi.

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