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Bankitalia sembra la Rai. La metamorfosi dei «migliori»: trasformazione fallita

Angelo De Mattia
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Non c'è un solo caso delle nomine Rai, decise negli anni che si ricordano, che non abbia causato, da una parte o dall'altra, l'accusa di lottizzazione partitica. Anche questa volta la «regola» è stata rispettata, per ora da una parte specifica, il Movimento 5 Stelle. Fondate o no che siano le critiche, ieri da alcuni versanti, oggi da un altro, una riflessione sul perché ciò accada e, ammesso che siano possibili ed efficaci, sui correttivi, in primis istituzionali, quindi regolamentari, è necessaria. Un tempo si scrisse che bisognava fare la Rai come la Banca d'Italia, iniziando, appunto, delle nomine al vertice a Viale Mazzini. Ma poi, con i tentativi di alcuni partiti di sponsorizzare o lottizzare gli incarichi nell'Istituto centrale fortunatamente andati a vuoto, si stava per fare l'inverso, la Banca d'Italia come la Rai. Il fatto è che il metodo spartitorio non si ferma al consiglio di amministrazione, ma scende nelle decisioni che, invece, dovrebbero essere proprie dell'autonomia di quest'ultimo organo, dunque nemmeno da condividere, una volta formulate dall'interno, con Governo e partiti. In un'altra fase si era pensato alla creazione di una Fondazione alla quale attribuire i poteri di nomina degli organi aziendali dell'emittente pubblica. Anche in questo caso, pur trattandosi di un passo avanti sulla strada della correttezza e della trasparenza, non si fugherebbe la possibilità di una discesa «per li rami» del metodo della spartizione ad opera di chi nomina (il Governo? Una pluralità di soggetti istituzionali?) gli organi della stessa Fondazione.

 

 

Molti ricordano ciò che avveniva negli anni Settanta e Ottanta, nonché negli iniziali anni Novanta con la lottizzazione partitica degli organi deliberativi e di controllo delle banche pubbliche (istituti di credito di diritto pubblico, casse di risparmio e, con alcune varianti, banche dell'Iri). Le nomine venivano decise al «centro» dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio nelle cui sedute si svolgeva tra le rappresentanze dei partiti della maggioranza una sofisticata trattativa, basata su di un «do ut des», partendo dalla ponderazione, in termini di voto e di presenze in Parlamento, di ciascuno dei partiti contraenti. Piovevano critiche dopo le decisioni, ma poi passavano nel dimenticatoio. Dopo un po' si rilanciava la lottizzazione, che, però, mai arrivava alle cariche sottostanti quelle dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali, nonché di organi similari. Questa deleteria prassi ebbe fine, non solo perché fu promosso e vinto un referendum, voluto dal grande giurista Massimo Severo Giannini, che abrogava lo specifico potere del Comitato del credito, ma anche, e soprattutto, perché si avviò la riforma della banca pubblica, scindendola in Fondazione e Spa bancaria e si avviò una decisa apertura al mercato con l'ingresso di nuovi azionisti. Si arrivò così a ridurre sotto il 10 per cento la partecipazione di quella che un tempo era la presenza pubblica, mentre le Fondazioni iniziavano una vita nella quale hanno finora molto ben meritato del Paese.

 

 

Chi scrive non è certo ostile, tutt'altro, all'intervento pubblico in economia che si svolga, ovviamente, con l'osservanza delle regole e in una condizione di «par condicio» con le iniziative private. C'è, dunque, da chiedersi: veramente deve essere la privatizzazione della Rai l'«extrema ratio» per porre la parola fine alle spartizioni le quali, anche se, ammesso ma non concesso, rispettano le professionalità e le competenze, comunque mettono un marchio partitico sul nominato e ne fanno, a suo stesso danno, un tributario di chine ha propiziato la nomina? Non si getterebbe così acqua sporca e bambino? È possibile che una prima misura o un primo tentativo non possa consistere nel ritrarsi autonomo di partiti dalla lottizzazione? Poi occorrerebbe agire con l'introdurre e con l'assicurare il rispetto di rigorosi criteri, requisiti, curricula dei quali parte centrale dovrebbero essere i risultati raggiunti fino al vaglio delle candidature e l'autonomia intellettuale, professionale, di comportamenti concreti dimostrata. Andrebbe finanche valutata l'ipotesi della Fondazione Rai, pur esposta ai rischi citati e sempreché sia costruita con personalità a ferrea prova di autonomia e di altissimo livello per essersi segnalate nel campo del sapere scientifico e di quello umanistico, nominate nella cariche del nuovo ente dal Presidente della Repubblica. Insomma, si scelga la via da percorrere, ma quel che insegna anche l'ultima tornata di nomine è che non si potrà continuare come costantemente finora si è fatto. I cosiddetti Migliori del Governo non se ne rendono conto? Non vedono che anche chi protesta per le scelte compiute non contesta la spartizione, ma critica il non esservi stato ammesso. Dunque, si è raggiunto un punto impensabile anche da parte dei più incalliti lottizzatori. E allora si capisce che bisogna svoltare? Se non ora quando?

 

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