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Enrico Letta colleziona autogol. Non solo il ddl Zan, tutti i flop del Pd

Riccardo Mazzoni
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Enrico Letta – richiamato da Parigi come nuovo uomo della Provvidenza del Pd – si è sentito personalmente investito del ruolo di fortissimo punto di riferimento dei progressisti un tempo attribuito a Conte, calandosi però un po’ troppo nella parte. Nel senso che la sua sete di rivincita e il rancore covato negli anni dell’esilio lo hanno spinto a spostare tutto a sinistra il suo asse politico, cercando di mettersi alle spalle il grigio profilo di mezzo leader moderato.

 

Ma la natura non si cambia: grigio era e grigio è rimasto, nonostante l’auto-tinteggiatura di rosso. Il fatto è che l’agenda massimalista e radicaleggiante che il segretario ha tentato di imporre a forza di penultimatum è finora rimasta desolatamente vuota. La lista delle promesse mancate è in effetti nutritissima: ius soli, legge Zan, voto ai sedicenni, dote ai diciottenni prelevata dalla tassa di successione, salario minimo, insomma un programma tanto vasto quanto velleitario che ha finito per scontentare tutta l’ampia platea dei beneficiari in attesa. Resta un mistero, mettendo in fila questa lunga teoria di propositi sfumati nei like su Twitter, il motivo per cui Letta ha pervicacemente deciso di non portare a casa almeno la legge contro l’omotransfobia, arroccandosi in un fortilizio ideologico peraltro lontano dalla sua formazione politica, dopo aver proposto una mediazione in extremis immediatamente rinnegata dai fatti.

 

Sì, perché l’autoconsolatoria narrazione piddina sulla genesi della disfatta a scrutinio segreto di mercoledì è un totale rovesciamento della realtà dei fatti. Forza Italia aveva presentato alcuni emendamenti che potevano rappresentare un punto di mediazione accettabile, e se il cambio di rotta c’è stato non è stato certo opera del centrodestra, ma dell’arruffata regia di una sinistra che ha scelto il tanto peggio, tanto meglio per accreditarsi come paladina del radicalismo gender. Eppure basta ripercorrere l’iter degli ultimi mesi al Senato per capire che passi avanti ce n’erano stati, eccome, e non solo formali: dopo un lunghissimo stallo, a giugno il disegno di legge Zan era stato riconosciuto come base della discussione, a patto della disponibilità a discutere quattro o cinque emendamenti sugli articoli 1,4 e 7, i più divisivi.

 

Ma il cartello Pd-Cinque Stelle-Leu, non fidandosi di Italia Viva e temendo di andare sotto in commissione Giustizia, scelse la strada più sbrigativa: quella di andare in aula senza relatore. Calderoli, l’ideatore della trappola regolamentare del non passaggio agli articoli, l’ha raccontata così: «A quel punto è cominciato veramente il teatrino. Siamo pronti alla discussione, ma prima il provvedimento deve essere calendarizzato. Lo si calendarizza; no, dopo la calendarizzazione bisogna arrivare in Assemblea. Ci siamo arrivati; no, bisogna concludere la discussione generale. Quando si è quasi alla fine della discussione generale, nessun dialogo se non si arriva all'esame degli emendamenti». Poi un raggio di luce: Letta incarica lo stesso Zan di aprire un confronto, ma i Cinque Stelle e Leu non si presentano al tavolo, con il Pd che prima di entrare nel merito delle possibili correzioni pretende il ritiro della richiesta del non passaggio agli articoli.

Alla fine, alzando mattone su mattone un insostenibile muro ideologico, lo stratega Letta ci è finito contro, e ora - invece di riflettere sui troppi errori da matita blu - dispensa anatemi e patenti di credibilità, col sussiego di chi, invece di fare politica, divide sempre il mondo tra buoni e cattivi, a costo di immolarsi per una legge dai tratti profondamente illiberali e accusare di deriva polacca i liberali che l’hanno contrastata. Nonostante il titolo, infatti, il ddl Zan non tutela la libertà, la limita; non combatte le discriminazioni, ma ne istituisce di nuove; non aggiunge diritti, ma aggrava le pene trasformando i reati in comportamenti indefiniti, ben sapendo che le norme penali in bianco diventano un’arma impropria in mano a certi magistrati. Questa legge-manifesto non è passata, ed è un bene, perché la prossima non potrà che essere migliore: resta la scia di odio sparso a piene mani dai paladini anti-odio contro chiunque provi a criticare il teorema Zan. A proposito di tolleranza.

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