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È caduta la maschera al Pd. Svelato il loro segreto: cancellare l'avversario, con stile

Franco Bechis
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Ci voleva l'inesperto vicesegretario Peppe Provenzano per fare tirare giù la maschera al Partito democratico di Enrico Letta. All'ex ministro del Sud è scappato un tweet ieri mattina che è diventato una vera e propria valanga: “Ieri Giorgia Meloni aveva un'occasione: tagliare i ponti con il mondo vicino al neofascismo, anche in FdI. Ma non l'ha fatto. Il luogo scelto (il palco neo-franchista di Vox) e le parole usate sulla matrice perpetuano l'ambiguità che la pone fuori dall'arco democratico e repubblicano”. Quattro righe e via, Meloni e compagnia sciolti prima ancora di quella Forza Nuova che da poche ore era diventato la prima emergenza della democrazia in Italia.

 

Fuori dall'arco democratico il solo partito di opposizione che c'è in Parlamento in questo momento (oltre ad alcuni gruppi nati dalla diaspora grillina), in modo assai più rapido di quello che di solito avveniva nei regimi totalitari: un cinguettio e passa il fastidio della concorrenza democratica. Naturalmente l'intemerata del giovane dirigente del Nazareno ha provocato un pandemonio, e la Meloni ha invocato a protezione sua e del suo partito un intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del capo del governo, Mario Draghi. Letta e lo stesso Provenzano realizzata la frana provocata, hanno tentato di mettere una pezza sul buco e il giovane l'ha fatto in modo talmente maldestro da avere reso ancora più seria la situazione. E seria è, anche se l'episodio ha un grande merito: grazie a una imprudenza accompagnata a una certa impudenza, è caduta la maschera all'ipocrisia del Pd. Tutto il film che abbiamo visto in queste settimane- che pure ha i suoi pessimi attori in carne ed ossa- non è andato sui nostri schermi a caso, per un improvvisa uscita da un misterioso nascondiglio di qualche fascistello che da anni ha la sua piccola parte nella politica italiana. Una regia evidentemente c'è stata ed è diventata la chiave della campagna elettorale delle amministrative, trasformatasi dopo decenni in un confronto muscolare fra fascismo e antifascismo.

 

Vi abbiamo raccontato ieri il Barone nero, macchietta che è sembrata spuntare dal nulla e invece era ben presente da lustri, cavalcando i margini della politica e cercando di ritagliarsi senza successo uno strapuntino. Come lui non erano un mistero nemmeno i Roberto Fiore, i Giuliano Castellino e il loro piccolo drappelloi, ed era ben noto il tentativo della loro Forza Nuova di cavalcare la protesta prima no vax poi no green pass, cosa che hanno fatto puntualmente in tutti questi mesi. Tanto noto che ogni volta li fermavano e che a settembre erano stati pure prelevati da casa all'alba utilizzando qualche comma delle leggi di pubblica sicurezza per evitare che si infilassero in una manifestazione autorizzata contro il green pass nei pressi di Montecitorio. Finita la protesta, li hanno rimandati a casa. Ma erano controllati a vista. Sorprende obiettivamente che sabato scorso nessuna precauzione fosse venuta in mente prima della manifestazione dei no pass a piazza del Popolo. Li hanno lasciati andare con comodo, e prendere la regia della protesta salendo pure sul palco organizzato. Non solo, come è stato dimostrato senza ombra di dubbio ieri sera da Nicola Porro a Quarta Repubblica, in una piazza presidiata dalle forze di polizia, ha urlato contro la triplice sindacale e pure la Cgil invitando tutti a formare un corteo verso la sede del sindacato guidato da Maurizio Landini, occupandolo manu miltare con il proposito di non restituirlo fino a quando la Cgil non avesse proclamato uno sciopero generale contro il green pass.

 

Quell'arringa era avvenuta un'ora e mezza prima che si verificasse l'irruzione nella sede del sindacato di corso Italia. E non è pensabile che chi guidava la sicurezza in piazza del Popolo non abbia avvisato i superiori di quel che stava sentendo chiedendo istruzioni al massimo livello su come comportarsi. Devo dedurre che la scelta del ministero dell'Interno sia stata quella di lasciarli andare alla Cgil dove non c'era un presidio di sicurezza degno di questo nome in grado di proteggere l'edificio. Quasi che si volesse cercare proprio quell'incidente e tutto ciò che ne deriva: un finale di campagna elettorale dove al centro c'è solo il pericolo fascista, e con un gran sventolio di bandiere rosse nel sabato del silenzio elettorale in cui tutta la sinistra sarà a fianco della Cgil nella manifestazione antifascista a San Giovanni.

Troppe coincidenze strane per non pensare male, e quella maschera fatta cadere per imperizia da Provenzano mette ancora più dubbi sulla regia di tutto quello che sta avvenendo da settimane.

 

Il Pd in questi anni aveva già fatto un capolavoro antidemocratico, assicurandosi con perseveranza la sua permanenza al governo anche quando in ogni modo l'elettorato italiano aveva provato a negargliela. Quindi sempre in questi anni. Ora c'è un passo in più: l'eliminazione con un'arma  che sembrava logora e impolverata dell'antifascismo di qualsiasi ostacolo ci si trovi davanti, addirittura dichiarandolo come negli anni Settanta “al di fuori dell'arco costituzionale”. La maschera è stata tolta, la democrazia è davvero in pericolo. Non per le nubi nere all'orizzonte. Sono nubi rosse.

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