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Roma, le canzonette smascherano il bluff Virginia Raggi. Più degli errori pesa la presunzione

Franco Bechis
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Sono solo canzonette, diceva Edoardo Bennato. Ma anche quelle sono volate via da Roma nonostante la sicumera con cui il sindaco Virginia Raggi le aveva date per scontate. La capitale di Italia non è stata in grado nemmeno di approdare alla cinquina finale di città italiane candidate ad ospitare l’edizione 2022 dell’Eurovision song festival, che spetta al Paese visto che l’edizione 2021 è stata vinta da chi lo rappresentava: i romanissimi Maneskin, che stanno spopolando nelle hit europee e perfino in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Hanno superato la selezione fatta da una commissione congiunta Rai-Ebu (European Broadcasting Union) Milano, Torino, Bologna e perfino Rimini e Pesaro. Uno smacco clamoroso per la capitale e per il suo sindaco che con la consueta immotivata sicumera si era già messa in tasca il grande evento all’indomani della vittoria dei Maneskin: «Roma è la città perfetta per rilanciare la sfida», aveva detto.

 

 

L’esclusione è arrivata per la mancanza di una infrastruttura adeguata o adeguabile alla bisogna come quella chiesta dal bando di selezione e averne presentata una - la Fiera - che si sapeva fin dall’inizio non corrispondere alle caratteristiche richieste lascia anche l’impressione di un certo pressapochismo, che è stato lo stile di questa amministrazione capitolina in tutti e cinque gli anni vissuti. Certo si trattava di un Eurofestival della canzonetta e non un Olimpiade come quella rifiutata nel 2016 subito dopo l’elezione. Non erano in gioco miliardi di euro, ma qualche milioncino di guadagno che avrebbe fatto comodo a Roma dopo anni di ristrettezze e guai economici. Hanno messo da parte fra 20 e 25 milioni di euro quasi tutte le città organizzatrici del festival in questi anni con le sole eccezioni di Copenaghen nel 2014 e di Baku nel 2012 che spesero troppo per trasformare strutture che in realtà non avevano le caratteristiche presentate nel dossier di candidatura. Oltre al guadagno immediato l’evento ha portato le telecamere delle tv di tutta Europa nelle città prescelte, donando uno spot gratuito che ha fatto da traino alla crescita del turismo nei mesi successivi. Forse è il solo aspetto che attenua l’amarezza: nelle condizioni attuali le immagini della città non sarebbero una gran leva pubblicitaria per attrarre turisti.

 

 

Lo spot certamente avrebbe voluto farselo la stessa Raggi che ne costella la campagna elettorale ogni giorno senza avere sprezzo del ridicolo (ha fatto sganasciare il web la pomposità con cui ha celebrato dieci biciclette rosse consegnate ai vigili urbani che per poco poi non gliele tiravano in testa indignati per come erano stati usati), ma è andata male. La vicenda segna però una volta in più il vero sostanziale difetto di questa amministrazione. Che fosse inesperta e poco capace si dava per scontato e lo sapevano benissimo i romani che la scelsero nel 2016. Nessuno si attendeva una Miss Wolf capace di risolvere problemi, e i cittadini erano disponibili anche a perdonare l’inevitabile zoppicare della sindaca e della sua squadra. Ma nessuno si immaginava la presunzione e la fastidiosa propaganda con cui la sindaca e i suoi (che sono cambiati mille volte in tanti anni) hanno testardamente provato a dire che era bianco quel che per tutti era evidentemente nero. Avesse messo almeno un po’ di umiltà i romani le avrebbero perdonato tante sciocchezze ed errori compiuti con danno per tutta la comunità. Ma quella sicumera e quella testardaggine con cui si è negata l’evidenza e capovolta la realtà ad ogni disavventura è davvero imperdonabile. Ora la propaganda si è infranta davanti alle canzonette, ed è davvero sipario che cala in modo umiliante anche per la sindaca. Ma si può essere certi che nemmeno la disavventura in extremis servirà di lezione, gridando invece al complotto della potentissima lobby rimino-pesarese, e alle meraviglie della candidatura di Roma per cui (detto ieri) si sarebbe inutilmente «lavorato giorno e notte». C’è sempre qualcosa di peggio degli errori e della presunzione con cui non vengono ammessi e non ci scusa: sprofondare nel ridicolo. Questo si potrebbe ancora risparmiare ai romani, che non lo meritano.

 

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