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Legge Zan, ecco chi sono i veri sabotatori

Andrea Amata
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La legge Zan rischia di schiantarsi in un cul de sac a causa di chi l’ha elevata a riferimento dogmatico dei diritti civili, sottraendola ad una mediazione utile ad espungere dal suo corpus quelle tossine ideologiche che avvelenano il confronto.

Così sulla proposta di Italia Viva di emendare il testo relativamente all’articolo controverso dell’«identità di genere», per raggiungere un compromesso in grado di salvaguardare l’impianto della legge, si sono riversate le escandescenze degli oltranzisti. Questi con solerzia hanno additato i renziani di sabotaggio, nonostante al senatore di Rignano sia ascrivibile la legge del 2016 sulle unioni civili e dunque non è accusabile di negligenza sui diritti civili. Un sano bagno di realismo dovrebbe indurre alla prudenza i massimalisti della legge Zan in quanto al Senato i numeri non largheggiano e un eventuale voto contrario, a riparo nello scrutinio segreto, potrebbe affossare definitivamente il testo.

 

 

 

 

 

 

I veri sabotatori della legge sull’omofobia si trovano nella claque dei pasdaran di una legislazione liberticida che ignora la complessità dell’«identità di genere», tanto da perorare la manipolazione fluida della sessualità. La sinistra, essendosi emancipata dai temi sociali come il lavoro che ne connotavano l’identità politica, si è rintanata nel bunker ideologico del variopinto ambiente lgbt+ da cui può trarre una eco mediatica, ma ininfluente sulla società che è avvinta da altre priorità. Sulla sanzione legale dell’omofobia sono disponibili a convergere tutte le forze parlamentari per tutelare gli omosessuali dall’intolleranza, mentre demandare ad una legge la definizione dell’«identità di genere», come derogabile dall’anagrafe biologica e attribuibile all’autopercezione mutante dell’individuo, significa cristallizzare in una norma l’instabilità con conseguenze definitive e irreversibili.

In questo senso occorre riflettere sulla vicenda di Keira Bell, la 23enne di Manchester, che ha chiamato in giudizio la clinica Tavistock and Portman NHS Trust perché «le autorità mediche avrebbero acconsentito troppo presto al suo desiderio di cambio di identità e di genere, quando aveva 16 anni». La giovane Keira ha dichiarato: «Non si possono prendere decisioni simili a 16 anni, e così in fretta. I ragazzi a quell’età devono essere ascoltati, e non immediatamente assecondati. Io ne ho pagato le conseguenze, con danni gravi fisici. Ma così non va bene, servono cambiamenti seri». 
Le parole accorate della ragazza sono il miglior ammonimento per quanti vorrebbero celebrare come conquista di civiltà una legge che include questioni che maturano nel dissidio interiore delle persone. Pertanto, si vari una legge liberale in difesa degli omosessuali e dei transessuali dalle discriminazioni, stralciando dal totem Zan la perseguibilità delle opinioni di dissenso, la programmazione educativa «coatta» sulla sessualità nelle scuole e la problematica determinazione dell’«identità di genere». La sinistra ammaini la bandiera ideologica e abbandoni le astrazioni per difendere con consapevolezza le minoranze, conferendo ulteriore protezione legale alle vittime delle discriminazioni.
 

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