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Tanti saluti alla politica. I parlamentari romani non servono per la corsa a sindaco

Francesco Storace
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Anche oggi decidiamo domani. Macché, il centrodestra si è preso un'altra settimana. Sette lunghissimi giorni tra polemiche, sondaggi, rancori, liti. E gli elettori a guardare per capire quando finiranno i giochi. Ognuno si scatena sui social per dire la sua che nessuno pare voler ascoltare, raccogliere, rappresentare. Salutateci la politica, viene da dire, visto che ormai siamo in balìa delle scelte civiche. Il che non è il male assoluto. Ad esempio, una personalità famosa spesso tirata in ballo da una parte e dall'altra è stata negli anni quella di Giovanni Malagò. E non c'era bisogno di scrivere «presidente del Coni» per sapere chi fosse. Qui si discute dell'avvocato Enrico Michetti. Con tutto il rispetto possibile. E per questo motivo ormai i leader si vedono per rivedersi. Sprecando settimane preziose, se non mesi. Lo ha ammesso Giorgia Meloni dicendo del prossimo appuntamento di martedì: «Non si perda altro tempo». Anche se poi a Porta a Porta si è lasciata sfuggire che «Michetti è il mio candidato, non è il candidato di FdI». Una differenza, non ce ne voglia, abbastanza complicata da comprendere. A meno che non abbia ragione il democristianissimo Lorenzo Cesa quando propone che a Milano scelga Salvini e a Roma la Meloni. Poi ai milanesi e ai romani glielo spiegherà lui.

 

 

Ormai è una discussione massacrante e per fortuna al nome di Michetti al vertice hanno almeno aggiunto quello del magistrato Simonetta Matone, ma escludendo la classe dirigente dei partiti del centrodestra. Come se deputati e senatori in carica fossero persone da tenere lontane dai luoghi del potere, incapaci di attrarre consenso. Verrebbe da chiedersi allora come hanno composto le liste per il Parlamento... Alla fine della riunione tutti concordanti - lo hanno riferito tra gli altri sia Antonio Tajani che Vittorio Sgarbi - il «ballottaggio» è tra Michetti e la Matone. E tutti lo dicevano seriamente, come se stessero scrutinando le schede ai seggi... Oltre loro due non c'è vita. Il guaio è determinato dall'attendismo esasperante. Determinato probabilmente anche dall'irrigidimento sui nomi di cui si parla, che impedisce «cedimenti». Sono diventati bandiere di parte, pare di capire, nessuno vuole fare «brutta figura». Ma così si rischia di non andare a giocare la partita con l'entusiasmo che sarebbe necessario: quando devi mobilitare almeno un milione di elettori per vincere, non ti puoi fermare perché hai deciso per mister ics.

 

 

Occhio, che si rischia di fare il gioco di Carlo Calenda, pronto a catturare fasce di elettorato di centrodestra per portarle a sé come un pifferaio. E magari pochi ricorderanno che avrà pure litigato col Pd, ma col Pd da cui si è miniscisso ci è diventato parlamentare europeo. E li, a Strasburgo, rimane. Chissà se da qui a martedì prossimo non si ragioni anche sui pezzi da novanta anziché bruciare le persone. Sia Michetti che Matone hanno comunque il diritto di non essere strattonati ancora in quella che appare una guerra lunare. Fra un anno, al massimo due, il centrodestra governerà l'Italia. Ci si vuole arrivare senza lo sforzo di dimostrare di avere uno straccio di classe dirigente capace di fare il ministro anche se non il sindaco della Capitale d'Italia? Questa volta non c'è nemmeno la tragedia della spaccatura di cinque anni fa, tra la stessa Meloni e Marchini: non arrivare neanche adesso come allora al ballottaggio sarebbe davvero terribile. Ci si pensi bene. Stiamo parlando dell'elezione diretta dei sindaci: riguarda milioni di elettori, non un vertice ristretto di leader.

 

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