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Roma, Giorgia Meloni prova a imporre lo sconosciuto Enrico Michetti agli alleati

Franco Bechis
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Non si può dire che Giorgia Meloni sia poco sincera: alla vigilia del vertice del centrodestra ha sfidato ogni perplessità di Forza Italia e Lega lanciando senza mezzi termini la candidatura del professore Enrico Michetti, avvocato amministrativista che lei vorrebbe lanciare sulla poltrona di primo cittadino della Capitale ripetendo l'identica operazione che fece a palazzo Chigi con un suo collega - Giuseppe Conte - l'allora leader del M5s, Luigi Di Maio. Oggi dunque sarà quello il nome sostenuto da Fratelli di Italia nell'incontro con Matteo Salvini, Antonio Tajani e i (dieci?) piccoli indiani del centrodestra che saranno seduti al tavolo delle trattative. Secondo la Meloni l'avvocato Michetti potrebbe rivelarsi il “Mr. Wolf” della coalizione, l'uomo in grado di risolvere problemi. Glielo avrebbero raccontato molti sindaci che in questi anni hanno fatto ricorso ai suoi buoni uffici (ad esempio sull'aumento delle tariffe dell' Autostrada dei Parchi), con risultati di altalenante efficacia.

 

 

Confesso il mio peccato: fino a un mese fa pur avendo fatto il giornalista a Roma dal 1990 ed essendomi occupato perfino dei suoi settori non avevo mai sentito nominare il prof. Michetti, ne ignoravo proprio l'esistenza. Ho cercato di recuperare il terreno perduto sentendomi tutto quello che c'è a disposizione delle sue trasmissioni su Radio Radio, e anche ogni sua ospitata in tg e in reti anche nazionali come esperto di pubblica amministrazione. Ho trovato un avvocato che senza dubbio ha favella e non poche capacità da polemista. Ha anche il difetto più tipico di un avvocato in politica: è in grado di sostenere il bianco come il nero con la stessa passione polemica e solide argomentazioni. Populista anche un pizzico grossier se parlava davanti a un pubblico che quello si attendeva, in doppio petto e grande e forbita cautela se l'occasione lo richiedeva e il pubblico era l'esatto opposto di quello di prima. Sa parlare, e se la caverebbe bene in qualsiasi confronto pubblico. Potrebbe anche essere un candidato efficace al ballottaggio. Il problema è farcelo arrivare, però. Perché la mia ignoranza della sua storia temo che sia piuttosto diffusa fra i cittadini di Roma. Se proprio vogliamo trovare a Roma un avvocato Michetti conosciuto ai più, si chiama Silvano, che insieme al fratello Ivano ha fatto la storia della musica italiana, fondando il complesso “I cugini di campagna” che con “Anima Mia” sono diventati popolarissimi. Non so se siano parenti con il professore Enrico: me lo auguro, così sarebbe risolto lo slogan elettorale: “Votate il cugino dei Cugini di Campagna!”. Ma non ho conforto in questo senso dalla biografia.

 

 

Ed è un problema per il primo turno: perché manca il tempo necessario (con le vacanze davanti, poi) per costruire la notorietà che oggi non c'è, e bisogna battere di sicuro uno degli altri due candidati forti: il Pd Roberto Gualtieri, non fortissimo per notorietà, ma comunque spesso in tv da ministro dell'Economia durante l'anno del coronavirus dove si pendeva dalle loro decisioni. E poi ovviamente Virginia Raggi, sindaco uscente che non manca di notorietà. Attenti perché ci sono anche altri ostacoli che con la loro notorietà possono impattare sugli umori dell'elettorato di centrodestra: Vittorio Sgarbi, che in quell'area ha sempre pescato, e Carlo Calenda che pur militando nella sinistra, dice cose assai attrattive sull'elettorato di centrodestra ed è molto noto.

E' un rischio molto alto quello della candidatura Michetti, e la sua corsa sarebbe tutta in salita. Ma il centrodestra è giunto davvero in ritardo a questa decisione, e tempo da perdere davvero non ce ne è più. Meglio una candidatura difficile che un altro rinvio della scelta, che finirebbe con lo scoraggiare gran parte dell'elettorato di centrodestra. 

Su questo tempo perduto la responsabilità è davvero di tutti e tre i protagonisti e forse la vicenda delle scelte continuamente rinviate è specchio di una realtà politica che non esiste più. Il centrodestra è stato il chiodo fisso di Silvio Berlusconi che è riuscito a inventarselo e a mantenerlo in vita per tanti anni. Oggi non interessa più di tanto ai leader delle formazioni che lo compongono, che sono campioni nell'avere fatto crescere il consenso per le squadre di appartenenza (Lega e Fratelli di Italia), ma non hanno nel loro dna la vocazione da leader di coalizione. E infatti da due anni compiono scelte diverse e indipendenti fra loro anche su passaggi importantissimi della vita politica nazionale. Questa assenza di vocazione di leadership di coalizione ha come conseguenza proprio l'impasse nelle soluzioni comuni a cui stiamo assistendo. Alla fine con tutte le perplessità che ci possono essere sulla scelta, meglio la Meloni che prova a imporre Michetti dell'ennesima fumata nera nel camino...

 

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