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Vincerà il virus, ecco la rivelazione choc di Pfizer

Franco Bechis
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La pandemia? Ci sarà ancora per buona parte del 2022, più o meno come abbiamo vissuto nel 2020 e nel 2021, anche se probabilmente con intensità diversa nelle varie aree del mondo. E poi che accadrà al virus Covid 19? Resterà. E quindi bisognerà combatterlo. Non è un virologo catastrofista di quelli che impazzano nelle nostre tv, chiamati soprattutto da conduttori che vogliono sentirsi dire le peggiori tregende. Ma vale assai di più di un virologo: perché la stima è di Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, il colosso farmaceutico che insieme alla tedesca BioNTech ha le chiavi del vaccino contro il coronavirus più richiesto nel mondo.

 

 

 

Le sue previsioni - che a noi portano a toccare ferro - valgono molto più di quelle di un virologo qualsiasi che del virus nulla sa. Perché il signor Bourla come tutta la Pfizer vivranno di quei vaccini, e le previsioni sono state fatte davanti all’assemblea annuale degli azionisti del 22 aprile, perché quelli erano desiderosi di capire che sorte avrebbe avuto il loro investimento anche a tre o cinque anni.

Il vaccino contro il coronavirus ha portato nelle casse di Pfizer 15 miliardi di euro di fatturato, destinato a crescere però grazie agli ordini aggiuntivi appena arrivati da Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. Visto con gli occhi degli azionisti il problema è l’esatto opposto di quello che vive tutto il resto del mondo: il vaccino oggi fa lievitare i fatturati, ma potrebbe avere assai più margine di guadagno. Solo che in piena pandemia il prezzo ai loro occhi è calmierato: 39 dollari per la doppia dose fornita a tutti i paesi ad «alto reddito» come Europa e Usa, «il costo medio di un pasto in America», ha spiegato Bourla. La metà di quel prezzo per le forniture a tutti i paesi a medio reddito pro capite, secondo la policy scelta da Pfizer. E da zero a comunque molto meno per i paesi poveri, per cui non è che Pfizer in questo momento si stia facendo in quattro. Di fronte a una rete di organizzazioni cattoliche intervenuta in assemblea per chiedere un maggiore sforzo per fornire le dosi al programma Covax dell’Onu caldeggiato anche da papa Francesco, Bourla non ha lasciato aperta la minima disponibilità: «abbiamo sottoscritto un accordo per fornire 40 milioni di dosi in tutto il 2021, e quei numeri rispetteremo».

Ma la notizia che riguarda tutti noi è che quel prezzo fisso resterà identico anche nel 2022, perché «sarà ancora un anno di pandemia». Tanto è che Pfizer nel 2021 pensa di arrivare alla produzione di 2,5 miliardi di dosi e nel 2022 ha un obiettivo perfino superiore: 3 miliardi. Quando le esigenze pandemiche finiranno e l’epidemia magari sarà ancora forte in alcuni continenti ma assai meno nel mondo ricco invece il prezzo del vaccino Pfizer diventerà "di mercato", assai superiore a quello attuale, e dipenderà allora da chi offrirà di più. Perché nei piani di Pfizer c’è una sicurezza: il virus sarà tenuto buono anche grazie a loro, ma non sarà sconfitto (certo, se le dosi per Africa e l’Asia più povera sono così ridotte, difficile combatterlo) e restando in vita con tutte le sue mutazioni, avrà bisogno continuo di richiami.

 

 

Bourla rispondendo all’azionista Anthony A. ha spiegato di non essere in grado di dire se il richiamo dovrà essere effettuato a «sei, sette, otto, nove o dodici mesi dalla seconda vaccinazione Pfizer, perché è proprio quello che stiamo studiando in questo momento insieme alle autorità sanitarie internazionali. Ma continuare a vaccinarsi è una barriera sicura contro qualsiasi variante del virus». Fin qui l’evidenza è stata che «l’efficacia del vaccino per sei mesi è ancora molto alta», ha spiegato Bourla, «tuttavia abbiamo visto che c’è una leggera riduzione con il passare del tempo, ed è certo che all’interno dei sei mesi l’efficacia è altissima nei primi due, ma molto più alta di quello che si rileva nei successivi due bimestri». Ma la sentenza emessa in assemblea non lascia spazio a dubbi: «l’ho già detto pubblicamente. Ci sarà bisogno di un richiamo e ci sarà bisogno di rivaccinazioni annuali o comunque periodiche negli anni successivi».

E in effetti sia Bourla che la co-fondatrice di BioNTech, la dottoressa Ozlem Tureci, la settimana prima hanno concesso interviste al network tv Usa Cnbc per rivelare che sarà disponibile una terza dose 2021 del vaccino per proteggere meglio dalle varianti del virus (stesso annuncio fatto anche da Stephane Bancel, amministratore delegato di Moderna) e che «le persone dovranno vaccinarsi contro il coronavirus ogni anno, come per l’influenza stagionale». Li ha presi assai sul serio David Kessler, capo del comitato scientifico della Casa Bianca scelto proprio da Joe Biden che davanti alla commissione speciale del Congresso ha spiegato che «bisogna per esigenze di pianificazione acquisire la terza dose del vaccino come la dovessimo fare, perché dai nostri studi la risposta anticorpale fin qui è stata forte, ma c’è negli ultimi tempi una evidenza di diminuzione di quella risposta, perché senza dubbio le varianti la mettono alla prova».

Dunque c’è una parte del mondo che fa il tifo per il virus, perché combatterlo sta diventando il suo mestiere. Con il vaccino o con altri farmaci, perché lo stesso capo di Pfizer, Bourla ha annunciato in assemblea: «Abbiamo avviato una sperimentazione di fase 1 di un potenziale nuovo trattamento antivirale per aiutare potenzialmente i pazienti a combattere il Covid 19». Non lo rimarco per creare scandalo: è il loro business, e così sia. Ma le loro previsioni dicono un’altra cosa: del virus non ci libereremo, e bisognerà conviverci tornando alla normalità e alla libertà di movimento e di impresa garantite dalla nostra democrazia e dalla nostra Costituzione, per troppo tempo sospese. Meglio chi fa il tifo per il virus perché ci guadagna che chi fa il tifo - come la sinistra italiana - per le catacombe in cui rinchiudere tutti perché provano fastidio per la libertà.

 

 

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