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La grande bugia della svolta green. Paragone d'assalto: ecco la verità sul Recovery Plan

Gianluigi Paragone
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Un fatto è la cosa più cocciuta al mondo, scriveva Bulgakov nel Maestro e Margherita. E siccome la lingua può nascondere la verità ma gli occhi mai, allora sveliamo - anche con ironia - il loro inganno.

 

Il piano di ripresa e resilienza non è l'occasione storica per fare ripartire l'Italia. Hanno costruito questa narrazione al netto della verità. I soldi di Bruxelles girano attorno a un inganno duplice. Il primo è dato dalle stringenti condizionalità europee visto che dovremmo seguire una road map precisa, con tanto di tagliandi che se non superati bloccheranno i fondi. In poche parole se il progetto e il relativo avanzamento dei lavori non sono conformi all'europensiero si ferma tutto e non arriva più un solo centesimo.

 

Il secondo inganno è che tutti i denari che ci arrivano andranno restituiti, anche quelli cosiddetti a fondo perduto. Questo perché la fiscalità dell'eurozona non esiste se non come finzione che permette di allungare il brodo della propaganda.

Insomma di materno l'Europa non ha proprio nulla nonostante al Recovery sia attribuita una funzione catartica. Una funzione consolatrice. Un po' come lo shampoo di Giorgio Gaber. Il Pnrr «è una cosa buona, come la mamma, che ti accarezza la testa quando sei triste e stanco: una mamma enorme, una mamma in bianco». E allora... «Sciacquo, sciacquo, sciacquo...». Una sciacquata green, ambientalista. In nome di questa ecosostenibilità tesa a uno spostamento verso l'elettrico e verso l'idrogeno dicono: all'Italia arriveranno tanti soldi da spendere.

Certo, soldi da spendere a debito per favorire le economie degli altri. Tedeschi, cinesi in testa, perché saranno loro a venderci l'elettrico. A cominciare dall'automotive, che per la Germania è prima fonte del Pii.

Riassunto: a noi i debiti dei prestiti, agli altri soprattutto gli asiatici - i profitti. Ovviamente il buco nero della eco-storiella non si può dire: quanto costa e quanto inquina il passaggio all'elettrico? Molto. Tuttavia che importa quando c'è sempre una pattumiera nel mondo dove scaricare gli avanzi del business dei pochi. Quindi lo Shampoo ecologista deve andare avanti, dev' essere spinto. Elogiato da testimonial eccellenti pop.

 

"C'è chi crede che sia meglio quello giallo senza canfora, anche se i migliori sono i più cari perché sono antiforfora. La schiuma è una cosa sacra che pulisce la persona meschina, abbattuta, oppressa". Così, convertiti gli inquinatori, li mandiamo sui monopattini che sono l'oggetto più trend della mobilità ecosostenibile e poco importa se im portanti studi rivelano che è anche il «giocattolino» che più impatta sull'emissione di CO20 dalla produzione allo smaltimento.

In nome dello Shampoo ecologista stiamo producendo oggetti dannosissimi per l'ambiente, oggetti dalla vita brevissima (obsolescenza programmata). Nell'ambito del Recovery Plan e del Next Generation Eu si parla anche di porti green. Mentre l'Europa con una lettera della solita Vestager ci preannuncia la privatizzazione dei porti italiani se non risolviamo una querelle fiscale (una montagna di soldi che dovremmo pagare per evitare la multa degli aiuti di Stato) l'Olanda fa un dumping ambientale e commerciale da paura, aprendo il porto di Rotterdam a mostruose navi cargo piene di merce contraffatta dalla Cina.

Ma che importa ora? C'è il new green deal: «Sciacquo, sciacquo, sciacquo». A proposito, in tutto questo sciacquo avanza qualcosa per abbassare le boulette? Perché chi consuma energia alternativa deve pagare ancora tutti gli oneri di sistema? Abbiamo le boulette tra le più care e ingiuste d'Europa, ma nessuno se ne preoccupa. Ci penseremo dopo, con lo shampoo del Pnrr, il balsamo del Recovery. Sciacquo, sciacquo, sciacquo... Fon.

Ps. Aveva ragione Gaber: «Con tutte le libertà che avete, volete anche avere la libertà di pensare?». Meglio di no, altrimenti potrebbero dover fare i conti con le verità nascoste nei loro inganni.

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