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Per sconfiggere il Covid serve il coraggio della politica

M. G. Zelle
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Mercoledì mattina. Mario Draghi arriva in Senato e i parlamentari lo ascoltano composti. Interventi, repliche e solo qualche voce in dissenso. I kingmaker della politica, i due Matteo, prendono la parola e ognuno nel suo stile, assecondano le scelte di Draghi incalzandolo. Renzi sceglie di pronunciare un discorso di alto profilo, insiste sulla necessità che l’Italia recuperi il suo peso in politica estera, parla poco o nulla di politica interna, fedele al voto del silenzio che pare aver pronunciato all’indomani della nascita del nuovo Governo. Salvini, in ossequio al suo stile concreto, pone l’accento sui ristori e sulle riaperture.

 

 

Il premier però parla chiaro: si riaprono le scuole, lo si fa con tamponi e vaccini, non con i banchi a rotelle, ma bar e ristoranti possono scordarsi di ricominciare a lavorare e gli italiani - si legge fra le righe - di ricominciare a vivere.
La Lega le tenta tutte: delega il Ministro Giorgetti di battersi perché almeno sia ripristinata la zona gialla ma l’ex numero 1 della Bce non arretra di un passo. Solo se i contagi caleranno, dice, si potrà parlare di riaperture. Un po’ di rumore, qualche protesta affidata ai social e poi, nulla. Italia Viva e Forza Italia restano in silenzio. Il fronte liberale è schiacciato dal peso dei dati, dall’autorevolezza del premier, dalle scelte simili compiute dalle cancellerie del resto d’Europa.

La corrente degli eroinomani del lockdown, da Speranza a Franceschini a Patuanelli, ha vinto la sua battaglia.
È come se la politica, a un certo punto, avesse deciso di calare testa e braghe abdicando al suo ruolo. Eppure l’arrivo di Draghi è stato - senza alcun dubbio - il trionfo della buona politica. Una mossa ideata e realizzata da Matteo Renzi, difficile però senza il sostegno di Matteo Salvini. Il problema infatti non è solo italiano ed esclusivamente sanitario, bensì culturale e tutto europeo. Di fronte alla tutela della salute, si dimenticano i valori di libertà personale ed economica che hanno costituito il terreno su cui, nei secoli, si è formata l’identità europea.

 

 

L’Europa prigioniera della sua burocrazia e della sua ideologia, contratta sul prezzo dei vaccini, sfodera i rigidi formalismi burocratici dell’Ema, rallenta l’arrivo di Sputnik in una miope ottica geopolitica, continuando a sfoderare come unica inefficace arma il lockdown, che non ferma ma rallenta soltanto l’epidemia, avendo come prezzo la distruzione del tessuto economico e sociale dei Paesi che lo applicano.

«Dobbiamo ripartire, se non ripartiamo ora moriremo di fame, non di Covid. Dovremo inventarci una nuova normalità. Fa male scrivere queste cose, ma non scriverle significa disertare al compito che ha un politico: indicare una via, non cercare solo il consenso» scriveva Matteo Renzi ad aprile. «Riaprire in sicurezza chi può il prima possibile perché stare chiusi altre settimane e mesi porterà al disastro economico» faceva sponda Matteo Salvini.

E forse, oggi, servirebbe che i due leader, pressati da attacchi giudiziari e da una certa stampa che li ha eletti come nemici, recuperassero quel coraggio di andare controcorrente che ebbero un anno fa, comunque e nonostante tutto, impedendo che insieme ai corpi, il Covid uccida anche quella cultura che ha permesso di diventare alla Vecchia Europa il centro della democrazia, dei diritti e delle libertà.

Con lo spirito di oggi, Sophie Scholl non avrebbe combattuto contro il nazismo, gli illuministi non avrebbero abbattuto l’ancien regime, dimostrando che la libertà è, in fondo, il valore più grande. Non serve, allora, altro che il coraggio delle idee, il riappropriarsi delle identità. Per ripartire serve, in fondo, la Politica.

 

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