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Giovanni Paolo Bernini: "Perseguitato da toga rossa"

Francesco Storace
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Toga rossa vissuta sulla pelle. L’accusa di trescare con i mafiosi per un pugno di voti. La gogna. Sette anni sotto inchiesta. Poi l’assoluzione. E ora la sorpresa, a lungo attesa: il suo accusatore, il magistrato Marco Mescolini, dovrebbe fare fagotto dall’Emilia Romagna se il plenum del Csm dovesse confermare la richiesta della prima commissione disciplinare, sottoscritta da Nino Di Matteo. Un uragano di emozioni per Giovanni Paolo Bernini, la cui militanza politica in Forza Italia fu seriamente compromessa dall’inchiesta sulla ’ndrangheta a Reggio Emilia e in varie altre province, inclusa la sua Parma, dove presiedeva il Consiglio comunale. Volevano anche sbatterlo in galera. Lo abbiamo intervistato.
Che effetto le ha fatto apprendere che il Csm potrebbe trasferire il pm Marco Mescolini?
«Un chiaro ed inequivocabile segnale di svolta da parte del Csm rispetto al passato. Non ricordo una vicenda giudiziaria nel nostro Paese conclusasi in questo modo. L’unica amarezza è che mio padre che vide l’inizio di questa violenta ed assurda mia vicenda giudiziaria, non è riuscito a vedere la fine, il suo cuore non riuscì a reggere a tanto».
La proposta di trasferimento è firmata da Nino Di Matteo...
«Ho iniziato a fare politica come segretario nazionale di un movimento giovanile negli anni 90, al fianco di un magistrato. Avevo ed ho fiducia nella magistratura che riuscirà ad emarginare quella parte minoritaria ai vertici che da vent’anni ha drogato il destino di governi nazionali, come quello di Berlusconi, e locali, come per la mia città di Parma. Nino Di Matteo è uno di quelli che potrà far riacquistare la fiducia popolare nella magistratura oggi ai minimi storici».

 


Quante volte le hanno gridato mafioso?
«Ricordo le truppe del Pd organizzate sotto i portici del grano della residenza municipale di Parma con le pentole ad urlare a squarcia voce quella parola, lontanissima dalla mia cultura e da quella della mia splendida città di Parma. Chi ha la parola mafia troppe volte in bocca o ha qualcosa da nascondere o ne fa un mestiere o peggio una serie televisiva in cui rovinare l’immagine dell’Italia nel mondo».
Che cosa era successo nella campagna elettorale del 2007?
«Quella era una campagna elettorale per noi del centrodestra che avevamo vinto a Parma, cosa unica in Emilia Romagna, per ben due mandati consecutivi. Più difficile perché il sindaco uscente non poteva fare il terzo mandato. Ed io che ero presidente del Consiglio comunale e consigliere dell’allora ministro Lunardi mi spesi più che mai tra la gente per far vincere il giovane candidato scelto dall’area moderata: fu per questo che mi presentai alle comunità di Parma di origine meridionale che fino ad allora era terreno elettorale della sinistra. Fui sempre tra i primi tre più votati di tutte le liste ed infatti superai le duemila preferenze».
Chiesero l’arresto per i rapporti con la ‘ndrangheta.
«Senza nemmeno un interrogatorio, mi trovai sui tg a seguito della solita abominevole conferenza stampa in pompa magna: la più grande retata contro la mafia cutrese al nord con epicentro a Reggio Emilia. Oltre 250 arrestati e due politici di Forza Italia sbattuti in pasto ai leoni. Ma tutti sanno che qui dal 1945 non si muove paglia se non sei del PD. Entrambi fummo poi assolti. E del fiume delle intercettazioni telefoniche ed ambientali dei Carabinieri su esponenti del Pd nazionali e locali, dal pm Mescolini, capo del pool di indagine e poi pubblica accusa nel processo Aemilia, neanche un avviso di garanzia».

 

 


Il Pd si salvò...
«Come ho dichiarato a Nicola Porro durante la puntata di Quarta Repubblica, non si tratta di un errore giudiziario. Bensì di un crimine giudiziario volto a nascondere le responsabilità del Pd (Mescolini fece pure il capo di gabinetto del vice ministro dell’economia nel Governo Prodi). Poi il Pd lo volle ad ogni costo a capo della Procura sapendo di poter contare su uno di loro: oltre a quella di Bibbiano, a Reggio Emilia cuore economico e storico del Pd, ci sono tante inchieste da seguire, come appalti e irregolarità macroscopiche».
Infatti Luca Palamara afferma che la nomina del procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini era «fortemente sostenuta del Pd locale».
«Ma certo e non solo quella di Reggio Emilia, il "sistema di malagiustizia politicizzata" ha drogato il destino politico di Parma e di Reggio con inchieste taroccate utili solo a mantenere il sistema di potere e non nell’interesse del popolo, ma dei dirigenti in Rolex al polso che sono oggi gli eredi del Pci. Palamara era solo l’anello finale del sistema e sono in molti a sperare che paghi solo lui, così da lasciare tanti altri in giro a rovinare la vita agli avversari politici. Oggi, da opposte storie, mi ritrovo a combattere la stessa battaglia di giustizia e libertà con Palamara: verità, giustizia e poi riforma vera della giustizia italiana».

 

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