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Altri due round per Renzi. Adesso è a un passo dal mettere Conte al tappeto

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Dopo essersi trangugiati in poche settimane come fosse un goloso tramezzino il «partito di Bibbiano», mettendo a braccetto Luigi Di Maio a Nicola Zingaretti, il M5s ha abbattuto in poche ore un'altra barriera. Sono passati dal «mai più con...» a un allegro «Libiamo, libiamo ne' lieti calici» con Matteo Renzi.

Potenza di Giuseppe Conte, che dopo essersi umiliato con la telefonata al leader di Italia viva del giorno prima, ha chiesto e ottenuto nel giro di ore la grande abiura ai suoi principali sponsor, i grillini. Come una lepre braccata che sa di potere finire in padella con le patate in pochi giorni, il premier uscente cerca tutte le vie possibili di fuga in modo ormai disperato. È stato lui a frenare battute e polemiche che ribollivano nelle fila del M5s sul viaggio arabo di Renzi, e pure a imporre a Vito Crimi la rapidissima marcia indietro nel colloquio al Quirinale con il Capo dello Stato Sergio Mattarella. È stato l’ennesimo colpo messo a segno dal leader di Italia viva quello che ha costretto Crimi a invitarlo alla tavola del prossimo governo come si fa con il figliol prodigo, pur di andare avanti e salvare le poltrone. Una giravolta incredibile da parte di un gruppo che fino alla sera prima urlava sui social «qualsiasi cosa, però mai più con lui». Che l’avesse fatta Conte per salvare la sua poltrona, ci stava: è un maestro di danza un premier che prima guida il governo più a destra della storia e un anno dopo con la stessa sicumera quello più a sinistra che si è avuto. Ora era pronto a fare il più democristiano che mai si sia visto raccogliendo quel che si trovava al mercato della politica, consegnandosi ai Bruno Tabacci e Clemente Mastella. Ma siccome la seduta in poltrona rischiava di non essere comoda, poche ore dopo Conte si era già trasformato nel Giuseppi D’Arabia, pronto a seguire Renzi in qualsiasi avventura in Italia e all’estero. L’uomo è un camaleonte e l’abbiamo capito. Quel che fa davvero impressione è vederlo seguire con lo stesso pelo sullo stomaco come topolini inebetiti dal pifferaio di Hamelin dal grosso delle truppe grilline, quelle dei «mai» che in un nulla diventano «per sempre».

 

Nell’incarico esplorativo che Mattarella ha dato ieri sera al presidente della Camera Roberto Fico e non allo stesso Conte che ci sperava, c’è la consapevolezza dell’impossibilità in questo momento di arrivare a un ter fotocopia o quasi del governo che se ne va. A Fico sono stati concessi quattro giorni di tempo anche per questo motivo: capire chi sarà disposto a fare l’ultima decisiva trasformazione da Camaleonte: Conte o i 5 stelle? Perché è tutta lì la partita che si gioca. Ed è evidente al Capo dello Stato che certo non è digiuno di politica come la partita sia complicatissima, perché chi oggi è in vantaggio (indubbiamente Italia viva) non si tirerà indietro facilmente.

 

Bisogna capire al di là delle parole che cosa agitava davvero Renzi nel governo Conte: l’ombra di Massimo D’Alema, che secondo il leader di Iv aveva messo le sue impronte non solo sull’esecutivo, ma soprattutto sulla gestione del Recovery Found con il suo gruzzolo da 209 miliardi in arrivo. Che c’entra D’Alema, direte voi? Vero, potrebbe trattarsi di una fissa. Ma quelle impronte Renzi ha visto nel grande agitarsi di Goffredo Bettini a sostenere Conte, nella regia di Vincenzo Amendola del PNRR da presentare all’Europa, nelle ultime scelte del ministro del Tesoro Roberto Gualtieri, nella gestione dei fondi per la Sanità sia del ministro titolare, Roberto Speranza, ma soprattutto del commissario unico all’emergenza sanitaria, Domenico Arcuri. Agli occhi di Renzi il premier uscente è colpevole di avere aperto questa autostrada rossa al vecchio Baffino. Mania o non mania, un governo nuovo con quella squadra non potrà riunire quella vecchia maggioranza auspicata da Mattarella. Perché Conte abbia ancora una possibilità su cento di restare in sella dovrebbe garantire l’eliminazione di ogni traccia che agli occhi di Renzi porta diritta diritta a D’Alema, e quindi accantonare quegli uomini appena citati più che questo o quel ministro grillino messo spesso nel mirino (come Lucia Azzolina). Ma per quanto si possa essere camaleonti, è difficile che accada. E allora per Renzi la strada più semplice è quella di sbarrare la strada all’uomo che è a palazzo Chigi, che era poi lo scopo della spallata data che ha messo in crisi l’esecutivo. 

 

A creare qualche preoccupazione ora è la scelta fatta da Alessandro Di Battista che ieri in un durissimo post sulla retromarcia di Crimi e del M5s ha annunciato il suo distacco dal movimento che è sembrato l’antipasto di una scissione. Qualche seguace c’è, e potrebbe complicare un po’ i conteggi. Ancora una volta si è mosso Conte, telefonando a Beppe Grillo per chiedere una mano: una uscita pubblica che fulminasse sul nascere la tentazione di seguire Dibba emersa già dalle dichiarazioni di Nicola Morra e Barbara Lezzi. A ieri sera non è arrivata. Vedremo oggi. Ma anche arrivasse non è quella a potere salvare la vita da premier a Giuseppi. Che ha ancora questi quattro giorni di speranza...
 

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