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Governissimo o urne per uscire dal pantano in cui è finito Conte

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Alessandro Giuli
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Un torpore agonico sembra essersi impadronito di quel che resta della maggioranza su cui poggia il malfermo Conte bis. In attesa di affrontare le Colonne d’Ercole del voto in Senato sulla relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, previsto per mercoledì, i giallorossi continuano a baloccarsi con il pallottoliere.

Indecisi a tutto, sia il presidente del Consiglio sia i vertici del Partito democratico e del Movimento Cinque stelle brandiscono come una minacciosa arma retorica lo spettro di elezioni anticipate, riservandosi di giocare su tutti i tavoli e proseguendo la disordinata pesca miracolosa nella zona grigia del trasformismo parlamentare. Il risultato immediato è uno spaventoso vuoto di potere politico nel quale all’arroccamento della maggioranza fa riscontro un rinnovato attivismo della speculazione finanziaria: le oscillazioni dello spread non sono che il riflesso dell’instabilità generale e si accompagnano con puntualità alle preoccupazioni dell’establishment europeo circa le falle nel Recovery plan e la sopraggiunta debolezza dell’esecutivo.

Nel frattempo la magistratura torna protagonista e detta l’agenda della cronaca quotidiana, bombardando (pour cause…) i vertici dell’Udc coinvolti nelle inchieste calabresi e inseguendo l’ombra di Silvio Berlusconi aleggiante sul fondale delle presunte trattative Stato-mafia ambientate alla metà degli anni Novanta. Con il che, non soltanto si aggiunge confusione a confusione ma si aggrava l’instabilità generale in un quadro sanitario già di per sé reso drammatico dalla pandemia dilagante e dal verosimile fallimento del piano vaccinale di Domenico Arcuri, compromesso dalle studiate lentezze della Pfizer e dalle ambizioni irrealistiche del commissario all’emergenza.

Più silente, ma non meno tragica, è poi l’agitazione sociale che fermenta nella piramide sommersa delle vittime d’una gigantesca crisi economica ancora nascosta dal fragile sistema dei sussidi pubblici. In uno Stato sovrano degno di questo nome, verrebbero subito riconosciuti i presupposti di uno stallo esiziale e ci si muoverebbe di conseguenza: imponendo un radicale cambio di schema all’inerzia del momento, nella quale piccoli calcoli tattici e grandi vanità personali hanno preso il sopravvento sull’interesse nazionale. La verità è che la circostanza straordinaria richiede risposte straordinarie di cui Giuseppe Conte e la sua traballante maggioranza sono incapaci. L’opposizione ha buon gioco nel metterne in mostra le contraddizioni, ma anche questo non è sufficiente.

Urge un radicale choc addizionale tale da disinnescare i pericoli incombenti: che sia un ordinato ritorno alle urne o un governissimo pilotato dal capo dello Stato, l’essenziale è che maggioranza e opposizione concordino sull’inammissibilità dello staus quo, rimettendo al Quirinale il potere d’iniziativa necessario all’operazione salvifica. Perché ciò accada occorre mettere l’avvocato di Volturara Appula in condizione di presentarsi dimissionario al Colle, riaprendo così il ventaglio delle soluzioni istituzionali. L’attuale classe dirigente non può concedersi di oltrepassare la misura della decenza. E in particolare il Pd è chiamato ai propri doveri più dell’improvvisato club giacobino di Beppe Grillo: rinfoderi il rancore antirenziano, ammetta il fallimento della vanagloriosa strategia dell’inquilino di Palazzo Chigi e si comporti di conseguenza. Il resto dell’arco parlamentare, come l’intendenza, seguirà.

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