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Bomba Bonafede sul governo. Al Senato Conte può finire sotto

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Carlantonio Solimene
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Il problema della maggioranza, in questo momento, ha un nome e cognome: quelli del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il voto del Senato sulla sua relazione sulla Giustizia, mercoledì prossimo, rischia di trasformarsi nella tempesta perfetta per il governo Conte. Oltre che in un potenziale ostacolo nel reperimento di nuovi «volenterosi».

Ad aprire le ostilità è stato Matteo Renzi. Che, la stessa sera in cui a Palazzo Madama l’esecutivo aveva superato le forche caudine della fiducia, seppure in affanno, aveva subito calendarizzato la nuova sfida. Annunciando che Italia viva avrebbe votato no alla relazione di Bonafede. Un atto che, se i numeri restassero quelli di martedì scorso, significherebbe bocciatura. Certo, si è ragionato in maggioranza, difficilmente Renzi terrà compatto tutto il suo gruppo sull’opposizione dura al governo. Nel frattempo, però, altri scricchiolii sono emersi. A partire dalle perplessità espresse dalla «volenterosa» per eccellenza: Sandra Lonardo. «Devo leggere la risoluzione prima di prendere decisioni» ha detto a LaPresse la senatrice. Aggiungendo: «Non ho condiviso la politica di Bonafede finora. L’eliminazione della prescrizione è stata un errore, perché lascia nell’inferno dell’attesa di processi interminabili la maggior parte delle persone che entrano nell’ingranaggio della giustizia-mala giustizia». E a chiarire ulteriormente il quadro è stato il marito, Clemente Mastella: «Bonafede oggi è un problema serio». E sulle ipotesi di una sostituzione del Guardasigilli: «Quando un ministro non ha la benevolenza del Parlamento, prima di esser sfiduciato va trovata una soluzione diversa». Non è solo la Lonardo a nutrire delle perplessità sul ministro della Giustizia. Un altro dei responsabili, il socialista Riccardo Nencini, nel maggio del 2020, era stato l’unico in maggioranza a votare la sfiducia a Bonafede. Avrà cambiato idea nel volgere di otto mesi?

E, fuori dai confini dell’attuale maggioranza, la situazione è peggiore. Il forzista Luigi Vitali, segnalato tra i senatori più propensi a saltare sul carro del governo, ha detto senza mezze parole che «per la mia storia non posso certo sostenere un governo dove alla Giustizia c’è un ministro come Bonafede». E Mara Carfagna, che insieme al governatore ligure Giovanni Toti ha aperto all’ipotesi di un esecutivo di larghissime intese, è stata ancora più chiara: «Per liberali e garantisti dire no all’azione del ministro Bonafede non è tattica politica, ma un dovere morale». Non si è fatto molti amici il Guardasigilli in quasi tre anni e mezzo di permanenza a via Arenula. «Merito» di riforme incomplete, come l’abolizione della prescrizione senza un necessario intervento sui tempi dei processi, e di qualche vicenda opaca, come lo scontro con il pm della trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo. Senza contare le tante gaffe che hanno contraddistinto il suo mandato, a partire dal video celebrativo dell’arresto di Cesare Battisti diffuso sui social.

Sono tanti, anche in maggioranza e soprattutto nel Pd, quelli che non si strapperebbero i capelli per un cambio alla Giustizia. Ma Bonafede non è un ministro facilmente sacrificabile. È lui, infatti, ad aver avvicinato il premier Giuseppe Conte al M5s. Davvero il premier sarebbe disposto a sacrificare il suo padrino politico sull’altare della sopravvivenza? Il tempo scorre e alla votazione mancano sei giorni. Pochi per pensare a un rimpastone o per reperire truppe cospicue di responsabili. E così a Palazzo Chigi la temperatura della tensione non è mai stata così alta.

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