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Conte in bilico, Matteo Salvini apre all'ammucchiata

Luigi Frasca
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Matteo Salvini apre al governo traghettatore. Il leader della Lega rompe gli indugi e dopo aver indossato una veste più istituzionale e aperta al dialogo, nella piena consapevolezza che questo non è il momento di rompere ma di costruire, va oltre. Alla domanda se fosse disponibile ad appoggiare un governo traghettatore, risponde con un «noi ci siamo», fulmine a ciel sereno dentro e fuori la coalizione di centrodestra. «Noi ci siamo ad accompagnare il Paese a nuove elezioni con un governo serio, ma siamo preoccupati perché in Italia c'è un esecutivo fermo e litigioso che parla di rimpasto e legge elettorale», argomenta. Il ragionamento è articolato perché non si tratta di un cambio di linea, spiegano fonti del Carroccio, piuttosto è «una presa d'atto». Invocare il voto all'inizio del 2021 è irrealistico - causa piano di vaccinazioni e pandemia - e quindi per «accompagnare il Paese a elezioni sarebbe inevitabile un altro governo».

La Lega insomma è «disponibile a impegnarsi, a patto che siano garantite le urne il prima possibile». Per uscire dalla crisi che si sta vivendo quindi è necessario - nell'immediato - un confronto con il premier Conte, che dovrebbe incontrare già la prossima settimana. In questo scenario Salvini non invoca le elezioni, anzi concorda con chi in via Bellerio - come Giorgetti e Fontana - sostiene la linea di un governo con dentro tutti o, per usare un concetto più raffinato, quello dell'esecutivo di responsabilità nazionale che porti gli italiani alle urne a scadenza naturale nel 2023. Parole che fanno sicuramente rumore, che vengono interpretate da chi tende a non fidarsi, come una sponda a Matteo Renzi, di cui Salvini ha apprezzato il discorso in Senato con uno scrosciante applauso. Non solo, la mossa sa di «occhiolino» al capo dello Stato, Sergio Mattarella, che il leader leghista ha definito «garante della coesione del Paese».

E mentre Silvio Berlusconi apprezza questa anima dialogante e responsabile che l'alleato sta mettendo in luce, Giorgia Meloni sicuramente non può essere concorde. La presidente di Fdi ha più volte detto che dopo il governo Conte c'è solo la chiamata alle urne. Impensabile che Meloni sostenga un esecutivo anche se per amor di patria, sedendo accanto a Pd e M55, tanto da definire «irrealizzabile lo scenario di governi ponte» e che «se si vuole sostituire Conte non saremo certo noi a difenderlo opponendoci, ma non faremo mai parte di nessun governo con chi oggi lo sostiene».

In ambienti vicino al partito giudicano «incomprensibile» la linea del capo di via Bellerio - per giunta non concordata con gli alleati, ci tengono a precisare - che prima chiede udienza al presidente della Repubblica e poi getta le basi per un confronto con Conte, quasi a volerlo rafforzare in un momento di debolezza. Ma nel momento più caldo del Conte2 non si fermano neppure gli attacchi di Matteo Renzi. In un'intervista al quotidiano spagnolo Pais evoca la crisi di governo, proprio mentre il premier Giuseppe Conte è impegnato nel Consiglio europeo a Bruxelles. E stavolta sia M55 che Pd intervengono a difesa del presidente del Consiglio. «E irresponsabile attaccare il governo di cui si fa parte, per di più da un quotidiano estero, minacciando addirittura una crisi mentre il Consiglio europeo è ancora in corso e l'Italia sta facendo valere le proprie ragioni», sbotta il capo delegazione 5 Stelle, Alfonso Bonafede. «Non solo non è accettabile, ma è irrispettoso nei confronti di tutti gli italiani». Ma la risposta più dura arriva dal Pd. E va dritta al punto. La crisi evocata da Renzi e la convinzione del leader Iv che il voto non sia affatto l'esito più scontato. «Al voto in caso di crisi? No, prima occorre verificare se c'è una maggioranza».

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