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Il lockdown Covid spacca i virologi

Tommaso Carta
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La fase finora più dura della seconda ondata di Coronavirus riporta sugli schermi televisivi uno dei leit motiv dello scorso marzo: il dibattito tra virologi, medici, scienziati. Che, tuttavia, più che assomigliare a un simposio di esperti sembra piuttosto una di quelle risse televisive alle quali gli italiani, cercando conforto e chiarimento, assistono al contrario con sempre maggiore sconcerto.

A provocare ieri l’ennesimo corto circuito è stato ancora una volta il consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi. Che oltre a criticare velatamente il Dpcm di Conte che a suo parere sarebbe insufficiente («il ministro Speranza voleva fare di più, altri ministri lo hanno fermato. Succede così in tutta Europa. E infatti in tutta Europa il virus sta dilagando») ha rilanciato l’ipotesi lockdown, per lo meno per le grandi metropoli in questo momento maggiormente in difficoltà: Milano, Napoli e Roma. «Ci sono aree - ha detto Ricciardi - dove la trasmissione è esponenziale e le ultime restrizioni adottate che possono essere efficaci nel resto del territorio, in quelle zone non sono valide per fermare il contagio. A Milano e Napoli uno può prendere il covid entrando al bar, al ristorante, prendendo l’autobus. Stare a contatto stretto con un positivo è facilissimo perché il virus circola tantissimo. In queste aree il lockdown è necessario, in altre aree del Paese no».

Parole contro le quali si è scagliato duramente il primario di terapia intensiva del San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo: «Penso e spero che queste dichiarazioni siano decontestualizzate rendendole surreali. Se fossero vere, l’unico modo che ho di commentare è quello di implorare il presidente del Consiglio di parlare lui a nome di tutti. Perché chiudere Milano e Napoli è qualcosa di estremamente importante e significativo e penso che debba essere preannunciato e fatto dal Capo del Governo». Zangrillo chiede maggiore responsabilità e prudenza al consulente del ministero della Salute. E il primario del San Raffaele non è l’unico dei virologi ormai diventati familiari agli italiani a giudicare eccessiva l’ipotesi di sospendere tutte le attività produttive nelle grandi città.

 

 

Per Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano «esiste un tema grandi città, ma su questo fronte il Dpcm del governo ha fatto il possibile. Quindi a mio avviso occorre aspettare 15-20 giorni per valutare gli effetti». «Uno studio recente su Lancet - continua Pregliasco conversando con l’Adnkronos Salute - ci dice che i primi effetti delle misure non farmacologiche si apprezzano già 8 giorni dopo l’introduzione, dunque aspettiamone almeno 15 per valutare gli effetti del Dpcm. Certo, un lockdown a Milano e Napoli era possibile, ma si è deciso di intervenire bilanciando salute ed economia».

Si iscrive agli allarmisti invece Massimo Galli: «La possibilità di un lockdown in alcune aree d’Italia, tra cui Milano, è un’opzione che mi rattrista in maniera violenta, ma che non può non essere considerata» spiega all’Adnkoronos Salute l’infettivologo dell’ospedale Sacco. «Cruciali saranno i numeri dei prossimi giorni. Se corrisponderanno alle previsioni pessimiste, o addirittura saranno più preoccupanti, il lockdown sarà necessario».

A tirare le fila, per una volta, è la politica, con il sindaco di Milano Giuseppe Sala che non sembra intenzionato a prendere decisioni deflagranti a breve termine. «Ho appena ricevuto un messaggio sms di un virologo di cui mi fido molto, che dice ieri c’erano circa 80 pazienti intubati a Milano e 200 in Lombardia» spiega Sala. «La conclusione è che anche nella peggiore delle ipotesi avremmo 10-15 giorni per decidere un eventuale lockdown». Il problema adesso, come spiega il sindaco sono i numeri alti dei ricoveri che intasano gli ospedali. Ma «non credo sia irrisolvibile e che ci debba portare a un lockdown generale adesso». Posizione, peraltro, condivisa dal governatore della Lombardia Attilio Fontana: «Al momento non ci sono le condizioni».
 

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