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È rivolta per le promesse fasulle di Conte. Insorge l'Italia delle partite Iva

Franco Bechis
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Non si fidano più degli annunci e delle promesse di Giuseppe Conte e della sua improbabile squadra di ministri. Da Torino a Catania, passando per Roma ed esplodendo a Napoli in tutta Italia ieri è sfilata la rabbia e l'orgoglio delle partite Iva messe in ginocchio dall'ultimo dpcm con le sue chiusure inspiegabili e inspiegate. Non capiscono perché loro e solo loro debbono pagare perché il virus è sfuggito di controllo all'esecutivo e anche alle varie sanità regionali. 

 

Sono additati di essere i responsabili di qualcosa di cui non hanno alcuna colpa, e la rabbia monta anche per quello. Hanno sentito troppe promesse fasulle nella primavera scorsa, hanno atteso mesi aiuti a fondo perduto che non arrivavano, aspettano ancora casse integrazioni non pagate dall'Inps, si sentono beffati da quei 600 euro ricevuti anche quelli con gran ritardo nei mesi scorsi come fosse stato quella la perdita ricevuta dal lockdown. Hanno l’orgoglio di chi è ripartito prima delle estate nel solo modo che conoscono: rimboccandosi le maniche come sempre avevano fatto, investendo risorse che non avevano e hanno ottenuto indebitandosi di più. Proprio per questo non accettano decisioni del governo e di presidenti di Regione che hanno come unica strategia quella del "’ndo cojo, cojo". Con tutto quel che hanno passato non credono più a nessuno di quelli che annuncia, promette, comunica grandi stanziamenti e risarcimenti. Non si calmeranno fino a quando non li avranno in tasca e potranno contarli, moneta dopo moneta.

 

Al di là dei soldi- che servono per vivere- il popolo dei bar, dei ristoranti, dei pub, delle palestre, dei cinema, dei teatri, degli auditorium, di tutto quel che è stato chiuso all’improvviso e additato pure al pubblico ludibrio perché quel dpcm li accusa nei fatti della ripresa dei contagi, sa di avere subito una ingiustizia. Ed è così, come ripetiamo da settimane alle autorità di governo: servono dati inoppugnabili e spiegazioni per le scelte che si fanno. Lo dicevamo un mese fa quando si puntava il dito sui giovani: visto che la movida è esplosa gioiosa e copiosa a metà maggio quando dopo il lockdown i locali mano a mano riaprivano, perché per mesi non hanno causato una ripresa dei contagi e poi all’improvviso è diventata il problema principale? Che dati ha il governo sui contagi da movida? Lo stesso per ognuna delle categorie messe ora ko: quanti contagi al cinema? Quanti nei teatri? Quanti godendosi la musica nelle sale? Proprio questa domanda ha rivolto con garbo al presidente del Consiglio ieri in una lettera uno dei presidenti delle associazioni dei ristoratori (Mio Italia), il viterbese Paolo Bianchini: «Le chiediamo ufficialmente di fornirci gli studi e le evidenze scientifiche prodotti dal Comitato Tecnico Scientifico che dimostrino che i ristoranti, i bar, i pub, le pizzerie e tutti i luoghi della somministrazione sono la causa della risalita dei contagi». Signor presidente del Consiglio, questa non è una domanda capziosa: hanno diritto a una risposta.

 

Per fortuna- non lo dico con polemica- all’interno della maggioranza di governo c’è qualcuno che subito si è mobilitato a difesa dei teatri, dei cinema e delle sale musiche perché ha colpito la reazione decisa e inattesa di un mondo che da decenni consideravano affine. Gli artisti per altro sanno usare i media grandi e piccoli, antichi e modernissimi: è un po’ parte del loro mestiere e riescono a fare sentire largamente le loro ragioni, che condivido dalla prima all’ultima. 

Ma gli altri? Ristoratori, baristi, birrai, maestri di cocktail, camerieri, cuochi, cassieri, migliaia di uomini e donne abbandonati al loro destino, che voce hanno? Stiamo parlando di 1,2 milioni di lavoratori, che con i dpcm di primavera sono stati quasi tutti lasciati a casa in attesa di una cassa integrazione che per mesi non è arrivata. Solo 108 mila di loro hanno potuto continuare a lavorare fino alla riapertura di fine maggio anche se nella classificazione Inail il settore della attività dei servizi di alloggio e ristorazione era stata classificata con classe di rischio contagio "bassa". Sono diventati dall’oggi al domani il nuovo Quarto Stato, anzi il Quinto Stato perché non hanno nemmeno un Pellizza da Volpedo dalla loro.

 

Che voce possono avere se non il grido della piazza? Quella voce è risuonata a Napoli qualche sera fa, e hanno provato ad anestetizzarla dicendo che era tutta opera della camorra (ed era falso). Poi è accaduto a Roma, e giù insulti: «solo neofascisti». Ma ieri il fuoco è divampato in tutta Italia: a Napoli erano migliaia in piazza del Plebiscito, in ogni città è esplosa la rabbia vuoi dei ristoratori, vuoti dei tassisti (anche loro perdono quasi tutto con la chiusura alle 18), vuoi di tutte le altre partite Iva punite senza una ragione. Ora sì il governo ha un problema contagi e cluster delle piazze che ha provocato irresponsabilmente tutto da solo. Non è con la forza che lo risolverà (con quella farà rischiare il contagio alle forze di polizia), ma con la ragione. Se ragione c’è per fermare questa o quella attività, la si dia. Se altra ragione non c'è che non sia lo sparare a casaccio nel mucchio, bisogna tornare subito indietro prima che sia troppo tardi.
 

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