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Conte chiude ma non risarcisce

Franco Bechis
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Quando Giuseppe Conte chiuse l'Italia l'11 marzo scorso sei giorni dopo - il 17 marzo - approvò in consiglio dei ministri il decreto Cura Italia con i primi 25 miliardi di euro di aiuti. Non erano molti, lo sappiamo, sono arrivati con gran ritardo e si sono rivelati una goccia nel mare del bisogno.

Ma sono stati fondamentali per dare un messaggio a chi era chiuso: arriva un aiuto, stringete i denti che lo Stato è al vostro fianco. Chi riceveva 600 euro sapeva bene che con quelli avrebbe fatto poco, e nei mesi successivi avrebbe ricevuto altri cerotti utili almeno a fermare l’emorragia. Quando a metà maggio l’Italia è stata riaperta per convivere con il virus con quegli spiccioli in tasca e la possibilità di ottenere prestiti a condizioni particolari milioni di italiani hanno rialzato la testa e non si sono arresi. Ristoratori hanno trasformato e riaperto i loro locali, i proprietari di bar, pub e birrerie li hanno seguiti, e come loro molti altri commercianti e piccoli e medi imprenditori (dai parrucchieri ai titolari di centri estetici, palestre, centri sportivi, tassisti, alberghi, b&b, cinema, teatri, musei e mille altre attività). Sapevano che sarebbe stato difficile, ma si sono rimboccati le maniche, hanno fatto gli investimenti richiesti dai protocolli imposti dagli esperti che assistono il governo e ci hanno provato. Ora la serranda sta richiudendosi piano piano con il governo che non decide nulla, ma attraverso le confuse ordinanze regionali che chiudono la movida anche nel tardo pomeriggio e impongono il coprifuoco ad orari diversi nei vari territori con divieti che scattano alle 21, alle 22, alle 23 o allo scoccare della mezzanotte come accadrà stasera nel Lazio.

 

 

Non discutiamo le ragioni di quelle restrizioni, che vengono decise subendo passivamente la curva dei contagi che appare sfuggita a ogni controllo. Conte e i suoi ministri hanno fatto un passo indietro, come non c’entrassero nulla con quel che sta accadendo. Non è così non solo per il fatto che ogni ordinanza regionale è discussa e talvolta controfirmata da un ministro dell’esecutivo, ma anche perché è responsabilità principale del governo essersi fatto sfuggire per la seconda volta la curva dei contagi. Pesa la mancata prevenzione, il ritardo nelle forniture necessarie, il fallimento sostanziale del commissario all’emergenza sanitaria Domenico Arcuri che è stato in ritardo su ogni mossa che era essenziale ed è riuscito a sbagliare gran parte degli acquisti. Dai bandi sulle terapie intensive alla distribuzione di ventilatori polmonari per le subintensive con istruzioni solo in tedesco che hanno impedito quasi ovunque il loro collaudo perché in Italia nessuno parla quella lingua. C’è una responsabilità enorme dello Stato nel nuovo dramma sanitario in cui siamo improvvisamente precipitati, ma giocando allo scaricabarile questa volta il governo se ne è lavato le mani (non per igiene) e lasciato ad altri la responsabilità dei parziali lockdown che stanno sorgendo come funghi. E questa volta non ha messo sul piatto nemmeno dieci centesimi di euro per risarcire quelle attività che più di altre verranno colpite dalla restrizione degli orari. È un errore gravissimo e inaccettabile nel momento più sbagliato possibile, perché ora l’orizzonte è assai diverso da quello di questa primavera: non c'è via di uscita vicina, non c'è una estate alle porte, ma ancora lunghi mesi dove la morsa delle chiusure potrebbe solo stringersi ancora di più. E se la prospettiva è solo quella di un peggioramento delle condizioni, sarà inevitabile la resa di migliaia e migliaia di piccole imprese con il disastro economico e ambientale che si porteranno dietro. Non vedere questo rischio ora è da irresponsabili. Questa volta non basteranno i 600 euro, perché signor presidente del Consiglio, lei ha sulla coscienza l’avere fatto indebitare ristoratori, titolari di bar, pub, cinema, teatri etc per adeguarsi alle condizioni che lei ha loro imposto per riaprire. Se oggi vengono chiusi poco o tanto perché non sarebbero sicuri, la responsabilità è totalmente di chi ha imposto quei protocolli e quelle regole: Conte per primo. Allora dopo ogni ordinanza ci vuole un decreto che risarcisca integralmente tutto il fatturato perduto per le nuove chiusure e che si carichi sulle spalle quel debito contratto sulla illusione di ripartenza che il governo aveva distribuito a piene mani. Visto che al premier piace ribattezzare i decreti con nomi di fantasia, lo chiami semplicemente «Io risarcisco», perché è suo dovere primario compiere questo passo. Non si inventi regalìe inutili, promesse di riforme fiscali per fare salire la sua immagine nei sondaggi. Non è tempo di cunei fiscali, ma di risarcimenti.

So che questa maggioranza non capisce nulla dei danni che fa, e che addirittura ha nelle sue fila nemici di classe di queste categorie prese a schiaffi. Ne ho avuto testimonianza qualche sera fa ascoltando in tv Pierluigi Bersani, il più grande nemico delle partite Iva in questo ventennio, che accusava tutte queste categorie di essere evasori fiscali per cui «prendendo le loro dichiarazioni dei redditi dell’anno precedente e vedendo la variazione di quest’anno, risarciremmo un'inezia». Prenda i fatturati di quelle piccole e medie imprese, che non sono i guadagni. Quelli vanno risarciti davanti alle chiusure, non i redditi dei titolari. Perché è con quei fatturati che si pagano i dipendenti, i fornitori, i titolari delle mura. Con le chiusure si metteranno nei guai e sulla strada centinaia di migliaia di italiani. Bisogna dirglielo subito, e stanziare quei soldi in brevissimo tempo. Muovetevi!
 

 

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