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Conte scavalcato dalle Regioni: ormai sono i governatori che decidono

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Non ci sarà un lockdown nazionale, ma nel braccio di ferro con le Regioni è il governo ad abbassare le pretese. Il premier, Giuseppe Conte, si presenta in Senato per spiegare la ratio del nuovo Dpcm per bloccare l'impennata di contagi, ma il discorso inevitabilmente scivola sul tema che sta tenendo banco nel dibattito politico e tra i cittadini: le restrizioni che, a poco a poco, quasi tutti i governatori stanno attuando sui rispettivi territori. Conte sa che in questa seconda ondata della pandemia il rischio concreto è di avere comportamenti a macchia di leopardo sparsi in tutto lo Stivale, così cerca di non perdere il contatto con gli enti locali rinnovando l'appello al dialogo "in spirito di leale collaborazione", perché ritiene "decisivo il massimo coordinamento tra i diversi livelli di governo" per "preservare omogeneità e coerenza".

Il presidente del Consiglio cita il caso della Lombardia, che ha già ricevuto l'ok del ministro della Sanità al coprifuoco dalle 23 alle 5 del mattino e la chiusura dei centri commerciali nel week end. Lambisce anche il dossier Campania, limitandosi a informare il Senato che l'iter è "in corso". Formula elegante per sorvolare sul fatto che la trattativa con Vincenzo De Luca è piuttosto serrata (il governatore riaprirà le scuole elementari ma ha bloccato gli spostamenti tra le cinque province). E non nasconde che a breve molte altre Regioni potrebbero adeguarsi alla linea scelta dai loro colleghi. Il Piemonte e la Liguria sono già pronte, ad esempio, e a stretto di giro di posta si aggregherà anche il Lazio, con il varo del 'coprifuoco' da mezzanotte alle 5, oltre alla didattica a distanza al 50% per i licei (escludendo il primo anno) e al 75% per le università (eccezion fatta per matricole e laboratori attività formative).

Il boom autunnale di Coronavirus impone rigore, il capo del governo lo dice senza mezzi termini: "Siamo consapevoli che il nemico non è stato ancora sconfitto, circola ancora fra noi". Ma prova a rassicurare spiegando che l'Italia non è più impreparata come nel marzo scorso. Quell'esperienza ha insegnato alle istituzioni una nozione fondamentale: la salute pubblica deve essere tutelata al pari dell'economia. Le attività produttive, dunque, non saranno fermate. Ma serve lo sforzo comune di tutta la comunità: " Siamo consapevoli che ai cittadini, ancora una volta, si chiedono sacrifici, rinunce e limitazioni", ma è necessario - dice il premier - "evitare spostamenti non necessari e attività superflue che potrebbero generare rischio" di contagi. Sembra quasi il prologo di un nuovo decreto, ma da Palazzo Chigi smentiscono le indiscrezioni circolate sui media: non sono da escludere ma azzardare ipotesi adesso "rischia soltanto di creare confusione e incertezze tra i cittadini". Tutto dipenderà dall'andamento del virus.

Di sicuro in questa fase non saranno toccata la scuola. "Non possiamo permettercelo", tuona Conte definendolo "uno degli assi portanti del Paese". Dunque, le lezioni saranno ancora in presenza, con la possibilità di rendere più flessibili gli orari e aprire le classi anche al pomeriggio.

In alcuni casi alternando la didattica a distanza, se necessario. Resta irrisolto, invece, il nodo trasporti anche se il presidente del Consiglio rivendica di aver già investito miliardi per il potenziamento del tpl, ricordando che nella prossima manovra sono stati stanziati 350 milioni di euro aggiuntivi per il 2021. Lo stato dell'arte, però, è racchiuso in uno dei passaggi del discorso di Conte in Senato: "Ho sempre detto che non dovevamo considerarci in un posto sicuro". Un giudizio severo, ma onesto.

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