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Covid, piano segreto e caso Marche: arriva a Roma l'incubo di Giuseppe Conte

Franco Bechis
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C'è una donna che è diventata l'incubo del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e di una parte del suo esecutivo. Si chiama Maria Cristina Rota, ed è il procuratore aggiunto della procura di Bergamo che oggi assieme ai pm Paolo Mandurino e Fabrizio Gaverini, interrogherà il premier, due ministri e funzionari pubblici a Roma sul disastro accaduto con i contagi del virus in due comuni del bergamasco, Alzano e Nembro. Nelle loro mani hanno già raccolto parecchio materiale e testimonianze sulla prima settimana del mese di marzo in cui si sarebbe dovuta prendere la decisione di istituire la zona rossa in quell'area salvando probabilmente molte vite. Ma non fu fatto. A chi sarebbe toccata quella scelta? Gli amministratori locali hanno raccontato della snervante attesa di una decisione governativa, sostenendo che a palazzo Chigi e alla protezione civile erano stati esaminati i dati sui contagi e che per cinque lunghi giorni si temporeggiò.

A conferma di quelle parole anche ritagli di stampa, come quelli del 7 marzo in cui si sarebbe dovuta prendere la decisione di istituire la zona rossa in quell'area salvando probabilmente molte vite. Ma non fu fatto. A chi sarebbe toccata quella scelta? Gli amministratori locali hanno raccontato della snervante attesa di una decisione governativa, sostenendo che a palazzo Chigi e alla protezione civile erano stati esaminati i dati sui contagi e che per cinque lunghi giorni si temporeggiò. A conferma di quelle parole anche ritagli di stampa, come quelli del 7 marzo in cui il sindaco di Alzano, Camillo Bertocchi, spiegò: “Siamo in attesa di ricevere le indicazioni del governo per eventuali nuove misure sui nostri territori. E' una situazione di incertezza che certamente crea disagio”.

Quindi il primo cittadino attendeva la zona rossa da Palazzo Chigi e non dalla Regione Lombardia. Come si è letto nelle scorse settimane la difesa degli esponenti del governo davanti all'inchiesta è di tenore opposto: toccava ad Attilio Fontana, che avrebbe potuto fare una zona rossa come successivamente ha deciso a Medicina il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonacini e come sulla carta avrebbe consentito una antica legge. Ma quell'esempio non calza, perché è avvenuto con l'Italia in pieno lockdown e il consenso esplicito verbale e scritto del governo ad adottare a livello regionale misure più restrittive (impedite invece quelle di tenore opposto). Nelle mani dei magistrati c'è invece ampia documentazione di segno diametralmente opposto che ora sono chiamati a chiarire il premier e gli altri ministri e dirigenti che verranno interrogati.

La prima è la dichiarazione di stato di emergenza nazionale del 31 gennaio che portava quindi sotto l'egida governativa la regia di ogni scelta dio politica sanitaria. Insieme a questa anche l'eventuale esistenza di un piano secretato del 20 gennaio citato al Corriere della Sera da Andrea Urbani, direttore generale della Programmazione sanitaria. Ma soprattutto nel fascicolo dei magistrati è inserita la documentazione sul cosiddetto “caso Marche”, che dimostrerebbe come l'esecutivo proprio alla vigilia delle scelte su Alzano e Nembro avesse compresso con evidenza l'autonomia decisione delle Regioni addirittura con intimazioni percepite da chi le ha ricevute come vere e proprie minacce. I fatti sono avvenuti durante la riunione governo-Regioni del 24 febbraio. E sono dichiarati. Lo stesso Conte quella sera li portò alla luce con una dichiarazione alla stampa: “Ho raccomandato al governatore delle Marche, Ceriscioli, di astenersi dalla sospensione delle attività scolastiche perché non sono giustificate”. Stessa cosa aveva detto il capo della protezione civile, Angelo Borrelli, sostenendo che le Regioni non potevano in ordine sparso adottare proprie decisioni e che il coordinamento doveva essere centrale. Ma il governatore delle Marche aveva la testa dura e disse che sarebbe andato avanti per la propria strada, cosa che il giorno dopo è effettivamente avvenuta con la firma di una ordinanza che chiuse tutte le scuole fino al 4 marzo successivo.

Quella sera stessa sempre Conte diede una intervista a “Frontiere”, in onda su Rai Uno, minacciando espressamente le Regioni: “il governo è pronto a misure che contraggano il potere dei governatori”. La sera del 25 febbraio il consiglio dei ministri ha impugnato l'ordinanza delle Marche sulla chiusura delle scuole portandola davanti alla Corte Costituzionale e sospendendone l'efficacia.

Conte il giorno dopo avrebbe commentato così la decisione: “le Marche hanno realizzato uno scarto, una deviazione. Questo non va bene perché se ognuno assume iniziative per conto suo si crea una confusione generale del Paese difficile da gestire. Disporre la chiusura delle scuole ha solo effetti negativi e non positivi”. Ora avendo preso a bacchettate la sola scelta restrittiva presa autonomamente da un presidente di Regione (per altro del Pd, quindi della stessa maggioranza del governo), per renderla subito inefficace, è davvero arduo sostenere oggi che sarebbe spettato alla Lombardia e non al governo varare le zone rosse nel bergamasco. E difficilmente questa linea di difesa potrà essere presa in considerazione dalla dottoressa Rota.

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