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Il pessimo "lavoro" di Giuseppe Conte

Pietro De Leo
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È allarme lavoro, dove aleggiano previsioni drammatiche. A tirarle giù, nero su bianco, è la Cgia di Mestre, che rielaborando i dati della Banca d’Italia ha preventivato quasi un milione di posti di lavoro (969.000 per la precisione) persi entro la fine di quest’anno. Cifra dolorosa, abbinata a quelle diffuse questa settimana dall’Istat, che ha quantificato a 274 mila il numero di occupati in meno ad aprile rispetto a marzo, con una quota di inattivi (cioè coloro che non studiano, non lavorano né affrontano percorsi di apprendistato) salita di 746 mila, un milione e mezzo su base annua. Dati da ecatombe sociale, sui quali può pesare l’effetto del percorso sin qui intrapreso dal governo. Il ministro Catalfo, ieri, in un’intervista a La Stampa ha annunciato che la cassa integrazione sarà estesa fino a dicembre. Però c’è da dire che le misure di protezione di posti di lavoro fino a questo momento hanno conosciuto una serie di criticità. Dal lato degli ammortizzatori sociali, certo. Ma anche da quello per agevolare la sopravvivenza delle imprese. Sul primo punto, la lentezza della cassa integrazione è stata oramai un dato acquisito, forse il principale «leit motiv» della risposta ai contraccolpi economici alla pandemia. Per settimane abbiamo letto, e raccontato, circa la farraginosità della cassa integrazione in deroga e del suo percorso a ostacoli: prima l’accordo preliminare impresa-sindacati, poi passaggio in regione e poi all’Inps. Una via crucis di lungaggini e ritardi, con la conseguenza che, finita la fase del lockdown di oltre due mesi, migliaia di lavoratori non hanno ancora ricevuto l’assegno...

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