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Non arrivano gli aiuti di Conte. Via la burocrazia o si muore

Bonus baby sitter e partite Iva ingabbiati da circolari astruse. Inps e Consip bloccano tutto. Meglio copiare l'Inghilterra con un grande Prestito Italia che lasci in vita le imprese

Franco Bechis
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Siamo lontanissimi dalla fine dell'emergenza sanitaria e l'Italia comincia a sentire nella carne dei suoi cittadini le conseguenze della chiusura di gran parte delle attività produttive. A quindici giorni dal decreto di Giuseppe Conte chiamato pomposamente «Cura Italia», è ormai chiaro che quelle norme non sanano le ferite di nessuno. Quei 25 miliardi stanziati sono incomparabilmente meno di quello che finora il sistema paese ha perso (in quindici giorni stimato fra 150 e 200 miliardi di euro), e soprattutto continuano a restare solo sulla carta perché manco un euro è giunto a destinazione. Sulla carta e fra le carte, perché insieme all'ennesimo modulo di autorizzazione a uscire gli italiani si stanno perdendo fra circolari e moduli di decine di pagine che l'Inps sta sfornando per potere accedere ai contributi e alle agevolazioni previste in quel primo decreto. Così se da settimane sono chiuse le scuole, bisogna imparare le istruzioni e addirittura gli algoritmi lì contenuti per avere pagati congedi parentali e permessi extra della legge 104. Se invece si è scelta la baby sitter, i 600 euro messi a disposizione dal governo saranno pagabili in una corsa contro il tempo il 15 maggio e se quella corsa fallisce, il 15 giugno prossimo. Non c'è ancora una istruzione invece per fare avere agli autonomi e ai commercianti quegli altri 600 euro di marzo che erano stati promessi per compensare mancati incassi che con quella cifra si facevano in mezza giornata. Arriveranno chissà quando, e di sicuro non entro la fine di questo mese. Perché il governo ha infilato una regoletta dietro l'altra che produce un regolamento dietro l'altro come fossimo in un momento tranquillo di attesa, in piena pace. Solo che siamo in guerra, e ci vogliono strumenti per combatterla. Il commissario nominato da Conte per gli approvvigionamenti sanitari, Domenico Arcuri, ha appena provato sulla propria pelle l'inadeguatezza delle scelte fatte, scoprendo che le gare fatte con la Consip su mascherine, caschi e respiratori sono quasi inutili: metà delle forniture arriverà quando l'emergenza non ci sarà più. E molti acquisti sono sbagliati: quelli fatti furono rifiutati e rispediti al mittente dalla Regione Lombardia e oggi vengono addirittura derisi dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca: «Mascherine quelle che ci hanno dato? Al massimo maschere di carnevale per i nostri nipotini. Se le indossi sembri Bugs Bunny». Conte che era un buon avvocato amministrativo e si contorna solo di giuristi ha una passione per cesellare le norme che bisogna strappargli di dosso. Ma soprattutto non ha alcuna coscienza di quel che sta avvenendo nel paese. Spero gliela abbia svegliata quel video girato a Bari in cui due donne e un uomo a cui lui ha chiuso l'attività commerciale da settimane stavano prendendo a calci il cancello di una banca gridando e piangendo: «Non abbiamo più soldi, non possiamo più mangiare. Aiutateci!». Per ora sono lacrime accompagnate dalla rabbia, fra qualche settimana ci sarà solo più questa e le nostre città potrebbero diventare campi di guerriglia ben più di quanto non si sia visto in Francia con i gilet gialli. La vera emergenza non è solo quella del virus, ma quella economica. Non sono accettabili né le norme né i tempi che vediamo per avere quel poco che è stato concesso. Bisogna mettere via ogni norma, ogni istruzione, ogni baraccone come Inps, Consip e quanto altro. E semplicemente copiare la soluzione inglese che oggi ci racconta su queste colonne un imprenditore italiano che vive a Londra: soldi subito per fare restare vive le imprese e conservare uno stipendio ai lavoratori, anche quelli autonomi. Un'operazione che potremmo chiamare «Prestito Italia», che serve a dare la garanzia dello Stato su anticipi concessi subito dalle banche per coprire fino all'80% del buco che si è creato con la fermata collettiva di più della metà del Paese. La garanzia statale mette in moto subito liquidità e non deve essere coperta nell'immediato, quindi ci sarà il tempo per il governo di trovare come coprirla senza fare un decretino dietro l'altro. Tempo in cui discutere anche con la Ue e la Bce, e mettere a tema quello che ha scritto con lucidità Mario Draghi: bisognerà fare salire i debiti pubblici di tutti e domani anche condonare i debiti privati (il Prestito Italia ad esempio). Ma per tutto questo c'è tempo. Non ce ne è per evitare che gli italiani siano alla fame e le imprese falliscano come birilli una dopo l'altra. Bisogna fare scelte ora e applicarle dalla prossima settimana: altro spazio temporale non c'è. E nel frattempo visto che quel prestito dovrà essere dieci più rilevante di quei 25 miliardi ma non potrà esserlo cento volte, il governo deve cominciare a pensare un piano per riaprire a breve almeno parte delle attività produttive. Si usino questi giorni per garantire alla riapertura la massima sicurezza sul lavoro nelle fabbriche e negli uffici chiusi: col virus dovremo comunque convivere. Ma una volta riadattato su esigenze sanitarie ogni luogo di lavoro, si inizi a riaprire almeno gradualmente. Dalla crisi bisogna uscire in modo guidato, altrimenti in quel pozzo nero affonderemo tutti.

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