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Coronavirus, avremo dieci milioni di persone senza lavoro

Luigi Bisignani
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Caro direttore, «nessuno perderà il lavoro» è l'ultima fake news che il Premier Conte ha annunciato coram populo a reti unificate nei salotti degli italiani, rilanciata poi dal Ministro dell'economia, Roberto Gualtieri. Nel nostro Paese, purtroppo, le conseguenze economiche, innestatesi anche per l'escalation della guerra dei prezzi del petrolio tra Russia e Arabia Saudita, faranno più vittime del Covid-19, se non saliremo sul treno della «rivoluzione» a cui stiamo assistendo e insistiamo con inefficaci politiche assistenziali di marca grillina. Oltre 8 milioni saranno gli italiani che, con famiglie già ai limiti della sopravvivenza, rimarranno senza occupazione dopo la mazzata del Coronavirus. Secondo le previsioni che cominciano a circolare riservatamente nei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro, le aziende italiane perderanno circa il 30 per cento del fatturato su base annua e questo calo, a cascata, ricadrà sul nostro Pil, peraltro già in affanno che perderà almeno 5 punti. Cadute di fatturato e di PIL che in mancanza di una vera rivoluzione economica non saranno recuperabili neanche in un decennio. Per approfondire leggi anche: Dal congedo allo stop mutui Gli annunci del Governo, come quello che «sarà agevolata ogni tipo di cassa integrazione» sappiamo bene che sono parole quantomeno affrettate, il nostro debito pubblico non può sopportarla per più di cinque-sei mesi e non è possibile, tra l'altro, utilizzarla in tutti i settori. I 25 miliardi di euro sbandierati da «Giuseppi», che in realtà sono solo 12, spariscono rispetto alle misure economiche «inedite» messe in campo dalla Germania di Angela Merkel, per non parlare dei 50 miliardi di dollari Donald Trump solo per l'emergenza di breve. E pure l'apertura a «tutta la flessibilità necessaria» da parte della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è una trappola che lei stessa ci farà pagare cara. La crisi drammatica cui stiamo andando incontro, che può essere equiparata ad un evento bellico, ha già una serie di effetti immediati che renderanno esplosiva la situazione: stop, ovviamente, alle nuove assunzioni, blocco immediato di tutti i progetti straordinari, fine di tutti i part time e, così com'è successo in passato, taglio di tutte le spese considerate superflue (dalle convention ai viaggi premio), eventi e formazione aziendale saranno principalmente «live podcasting». Ma la vera rivoluzione da Coronavirus sarà nel mondo dei servizi. Mentre di medici, infermieri, cuochi e camerieri, come ampiamente dimostrato in questi giorni, avremo sempre bisogno, questo test sarà fondamentale per i cosiddetti «colletti bianchi». Se, infatti, i vertici delle grandi aziende prenderanno atto che le cose, ai tempi del Coronavirus, sono andate avanti, magari anche meglio, con almeno la metà delle risorse a casa, prepariamoci ad una seconda rivoluzione, questa volta davvero digitale, dopo quella che ha quasi sostituto l'uomo negli stabilimenti industriali. E rischiamo che nel giro di pochi mesi il numero di disoccupati in Italia passi dai due milioni e mezzo attuali addirittura a dieci milioni. Con le nuove forme di organizzazione aziendale via Wi-Fi, verranno ridefiniti gli spazi negli ambienti lavorativi, con conseguente ridimensionamento delle sedi e crollo del real estate. Da quelle faraoniche, con tanto di terrazze-roof e boardroom, a uffici più spartani. Rivoluzione prevedibile anche nel settore dell'education, soprattutto nelle università: quelle più tecnologicamente avanzate e che, già da tempo, hanno introdotto le lezioni in streaming lasceranno immancabilmente indietro le altre. L'esplosione delle vendite a domicilio creerà certamente un ridimensionamento del personale nei grandi centri commerciali e nei mall. Nel settore del turismo, con il fermo di aerei e navi da crociera, poi, assisteremo ad una trasformazione delle nostre abitudini che ci spingerà a scoprire sempre di più le località del Bel Paese evitando spostamenti che inquinano e di cui gli «echo boomer» e la generazione «Greta» hanno preso ormai coscienza. Generazioni che non hanno vissuto alcuna crisi, a parte il crollo di Lehman Brothers: né quella della guerra tramandata ai loro genitori dai nonni né le crisi petrolifere né il terrorismo degli anni di piombo, quando si girava a piedi e i ristoranti erano vuoti. Cambieranno molto i modi di vivere: più vita casalinga, ad esempio, più Netflix e meno cinema, e probabilmente sempre meno Chiesa, visto che inopinatamente sono state sospese le Messe, fortunatamente meno droga e prostituzione viste le difficoltà di spaccio e «intimità». Per l'agricoltura uno stop per un problema ugualmente drammatico con i lavoratori, in maggior parte stranieri, che non torneranno presto nei campi per paura dei contagi e concorrenti sleali che si stanno affrettando a cavalcare l'ansia verso il «made in Italy». Comunque, a parte gli slogan demagogici irrealizzabili di Conte, l'Italia potrebbe rialzarsi se, anziché ricorrere alla sola cassa integrazione o a quelle altre forme «sindacali» che siamo sempre così bravi ad inventarci, cogliesse l'opportunità di questa crisi inaspettata per rinnovarsi, diventando più digitale, più liberale e meno assistita, grazie alla nostra Grande Bellezza e ai nostri plus unici nel mondo, dalla cultura, all'arte, all'enogastronomia, alla moda, al design e agli investimenti di quelle piccole uniche aziende di componentistica e macchine industriali che solo noi italiani abbiamo. Ma se continuiamo a botte di spot e di redditi di cittadinanza, tanto cari al nostro Premier e ai grillini, andremo a fondo con l'unica consolazione che forse vedremo di meno in tv all'ora di cena il nostro amato Premier che, con i barbieri chiusi, non potrà più farsi ritocchini. A meno che il suo Figaro personale non entri sottecchi a Palazzo Chigi.

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