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Luigi Frasca «Distruggere nel più breve tempo le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica».

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Ladistruzione deve avvenire «in ogni caso, sotto il controllo del giudice», spiega la Consulta, «non essendo ammissibile, né richiesto dal ricorrente, che alla distruzione proceda unilateralmente il pm». Tale «controllo - si legge nella sentenza - è garanzia di legalità con riguardo anzitutto alla effettiva riferibilità delle conversazioni intercettate al Capo dello Stato e, quindi, piu' in generale, quanto alla loro inutilizzabilità, in forza alle norme costituzionali e ordinarie». Ferma restando l'«assoluta inutilizzabilità» nel procedimento in questione, delle intercettazioni del Presidente della Repubblica, ed escludendo la «procedura camerale partecipata», l'Autorità giudiziaria dovrà però «tenere conto dell'eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia dell'integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art.90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la stessa Autorità - conclude la Corte - adotterà le iniziative consentite dall'ordinamento». Per la Consulta la «propalazione» del contenuto dei colloqui del Capo dello Stato «sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e per le funzioni del Capo dello Stato, ma anche, e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo». Il Presidente della Repubblica, si legge nella sentenza, «deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto a una specifica funzione, ma per l'efficace esercizio di tutte». La Corte ricorda le funzioni che «implicano decisioni molto incisive, che si concretizzano in solenni atti formali», quale lo scioglimento anticipato delle assemblee legislative: queste «presuppongono che il Presidente intrattenga intensi contatti con le forze politiche e con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni, allo scopo di valutare tutte le alternative costituzionalmente possibili, sia per consentire alla legislatura di giungere alla sua naturale scadenza, sia per troncare, con l'appello agli elettori, situazioni di stallo e di ingovernabilità». La diffusione di tali colloqui, «nel corso dei quali ciascuno degli interlocutori può esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni di parte su persone e formazioni politiche» causerebbe un danno al sistema «che dovrebbe sopportare le conseguenze dell'acuirsi delle contrapposizioni e degli scontri». Secondo la Corte costituzionale è «dovere dei giudici, soggetti alla legge e, quindi, in primo luogo, alla Costituzione» evitare che la «tutela costituzionale» delle conversazioni del Capo dello Stato venga «compromessa» e non portare «a ulteriori conseguenze la lesione involontariamente recata alla sfera di riservatezza costituzionalmente protetta, già la semplice rivelazione ai mezzi di informazione dell'esistenza delle registrazioni costituisca un vulnus che deve essere evitato». Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto ora leader della lista Rivoluzione civile, commenta: «La Corte apre a un ampliamento delle prerogative del Capo dello Stato, mettendo così a rischio l'equilibrio dei poteri dello Stato».

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