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Perché il Cavaliere ha il mal di spread Il grave errore di una linea anti-Europa

Europa

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Ieri questo giornale ha titolato: «Berlusconi si gioca l'Europa». Con le copie appena giunte in edicola lo spread ha iniziato ad arrampicarsi fino a 363 punti, mentre Piazza Affari, zavorrata di titoli bancari infarciti di Btp e di Bot, iniziava un calvario di sospensioni al ribasso che soltanto nel pomeriggio è rientrato un po' nei ranghi. Non credo che a Mario Sechi, direttore del Tempo, faccia piacere ciò che sta accadendo sui mercati, a differenza di chi con i paraocchi ideologici gioca al tanto peggio tanto meglio. Ma la realtà è questa. E la realtà ci dice di un segnale chiarissimo inviato dall'Europa al Cavaliere di ritorno: né la business community né quelle che definiamo cancellerie vogliono più saperne della sola ipotesi di un Berlusconi alla guida di un paese economicamente e politicamente strategico come l'Italia; tanto più su una linea ostentatamente anti-Ue, anti-euro e anti-Germania. Linea sulla quale viene oggi schierato a falange un partito che nel Parlamento di Strasburgo costituisce l'area nettamente dominante nella rappresentanza italiana del Ppe: 25 seggi su 33; seconda forza dietro ai democristiani tedeschi, più degli ex gollisti francesi. Dal bunker che rischia di diventare il Pdl, o la rinata Forza Italia, esponenti di totale ragionevolezza e certamente di provato europeismo come Mariastella Gelmini parlano di strumentalizzazione dello spread in chiave anti-Cav. È possibile, anzi è certo vista la forte componente speculativa del rialzo, e che tra poco vi racconteremo nei dettagli. Purtroppo però sono realtà anche le «operazioni verità» annunciate da Renato Brunetta, con tanto di conferenza stampa a fine anno, quasi a dire che le dimissioni di Berlusconi un anno fa furono solo frutto di complotti orditi tra Berlino e Parigi. Chi conosce Brunetta sa quanto faccia torto alla sua intelligenza l'adagiarsi su questa tesi, con i perfidi teutonici al posto dei perfidi albionici. L'allora ministro del Welfare, che alla fine di ottobre 2011 in un interminabile vertice di palazzo Grazioli dovette sostituire in fretta e furia Giulio Tremonti nel predisporre la risposta alle richieste ultimative di Bruxelles, dovrebbe ben ricordare quelle settimane convulse. Così come l'interminabile pantomima estiva tra palazzo Chigi, Tremonti e Umberto Bossi sulla riforma delle pensioni (una delle richieste della Bce per acquistare i nostri Btp), riforma silurata dal no della Lega. Noi stessi, su questo giornale, abbiamo trattato più volte la questione della sovranità nazionale, e raccontato quanto la Germania abbia tratto vantaggio dal protrarre la soluzione della crisi greca, quanto si sia opposta con i suoi falchi a dotare la Bce di strumenti da vera banca centrale, quanto abbia messo sotto il tappeto la polvere delle proprie banche, e quanto abbia ammantato di dogmatismo e «difesa del contribuente tedesco» un rischio-spread che ha consentito al Tesoro di Berlino di finanziarsi a costo zero, a spese del Sud Europa. Però c'è modo e modo di recuperare sovranità e opporsi alle pretese di Angela Merkel. C'è per esempio la via francese, che ha eletto un grigio presidente socialista mandando a casa l'ex superstar Nicolas Sarkozy, con Carlà al seguito, proprio per riequilibrare l'asse franco-tedesco. Riequilibrarlo, però, senza mettere in discussione né l'Europa né l'euro; ma anzi rivendicandone la primogenitura quale paese fondatore, e ricordando come il 25 marzo 1957 alla firma in Campidoglio dei Trattati di Roma, la Francia fu il più importante e ricco di quei sei stati, mentre l'Italia si risollevava dalla guerra e la Germania era ancora parzialmente occupata dagli alleati e dall'Armata Rossa. È amaro osservare come Berlusconi, che nel 2002 riuscì a far firmare a Roma l'accordo tra Nato a Russia, e che nel 2010 convinse la Merkel al primo salvataggio della Grecia, oggi appaia sul teatro europeo come un alieno, o peggio. Con la tedesca Bild che parla di «ritorno del bunga bunga», lo Spiegel di «spettro dell'Italia» e perfino lo svizzero Le Temps che sotto una foto del Cavaliere mette: «Attenzione, pericolo in Italia». Sarebbe stato meglio, molto meglio per lui e per il Paese, se Berlusconi avesse sponsorizzato tra quei moderati che afferma di voler rappresentare proprio Mario Monti, che in fondo gli ha tolto molte castagne dal fuoco e che sicuramente non è uomo di sinistra. Tanto è vero che Pier Luigi Bersani lo ha prepensionato per tempo, ricordando il concetto ancora ieri. Peccato che il centrodestra italiano abbia l'attitudine ad allontanare e regalare agli avversari gli esponenti migliori di una classe dirigente che pure viene dal suo mondo, e che lo stesso Cavaliere ha contribuito non poco a lanciare sulla ribalta internazionale: Monti, Draghi. Ma volete mettere una lista con Paolo Maldini e Franco Baresi? Se poi qualcuno deponesse un po' la tenuta da combattimento, potrebbe ragionare meglio su questa impennata di spread. Vedrebbe così che un aumento di 29 punti in una giornata non è neppure un fatto eccezionale, tale da dover parlare di complotti o peggio. Allo stesso Monti era capitato ben di peggio, il 2 agosto, con una risalita di 56 punti. Ma soprattutto basta fare qualche conto: su 1.600 titoli del Tesoro in circolazione solo il 35 per cento è in mani straniere. Su 231 miliardi di emissioni previste quest'anno, ne sono già stati collocati 226: mancano quattro aste tra Bot, Btp e Ctz (la prima domani, giovedì quella più importante di Btp triennali). Basta quindi un spiffero per provocare le montagne russe sul mercato secondario, e magari chi ha venduto ieri ricomprerà tra poco guadagnandoci un bel po'. Non solo. La vera pressione internazionale sull'Italia è avvenuta, ad autunno scorso, per indurre il governo a chiedere la protezione dello scudo antispread, firmando le relative condizioni. Allora fu Monti a dire no, benché la contropartita in termini di limitazioni di sovranità fosse davvero minima. Dopo le elezioni, quella che allora era una scelta potrebbe rivelarsi una necessità: ad un prezzo molto più duro. Per Monti il dilemma se candidarsi o no contempla anche questo; e il tempo è quasi scaduto.

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