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di Marlowe Ci scusiamo con i lettori se la prenderemo alla lontana, ma l'esempio che vi proponiamo ci riguarda molto da vicino.

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Ilquale, come ha annunciato il ministro del Tesoro Tim Geithner, esattamente il 31 dicembre raggiungerà il tetto di 16.400 miliardi di dollari fissato dal precedente e temporaneo compromesso tra Barack Obama e repubblicani. Il presidente è tornato dalle Hawaii, dove è nato e dove trascorre le vacanze; i leader dell'opposizione stanno facendo lo stesso. Che accade senza accordo? Due cose: entrano i vigore aumenti automatici delle aliquote fiscali (come chiesto dai democratici) e dei tagli alla spesa pubblica (come voluto dai repubblicani). Il tutto per un ammontare di 600 miliardi di dollari, che tra effetti diretti sull'economia reale e speculazione dei mercati potrebbe produrre una brusca inversione di tendenza nel Pil tornato ai livelli pre-crisi, nei consumi, fino a spingere la disoccupazione dal 7,7 per cento attuale al 9,1. Con ripercussioni sul resto del mondo, che già non sta benissimo. Noi per primi. Ma non è solo per questo che le faccende americane ci riguardano. Il braccio di ferro tra Obama ed il presidente repubblicano della Camera, John Boehmer, considerato dai suoi una colomba, riguarda infatti numeri e percentuali ben precise. In assenza di accordo, sul fronte delle tasse l'aliquota massima per i redditi oltre i 388.350 euro passerebbe dal 35 per cento al 39,6 dove era ai tempi di Bill Clinton. Egualmente l'aliquota minima sui redditi fino ad 8.700 euro tornerebbe dal 10 al 15 per cento. Obama vuole che le aliquote sui bassi redditi restino al 10, e offre di spostare a 400 mila dollari l'aliquota più salata. I repubblicani accettano a condizione che questa si applichi oltre i 500 mila dollari. Sì, avete letto bene: negli Usa l'aliquota che noi paghiamo da 28 mila a 55 mila euro (il 38 per cento) colpisce l'equivalente di redditi di poco inferiori ai 300 mila euro. Anzi, al momento non li tocca neppure. Quanto alla spesa i tagli automatici colpirebbero da subito la difesa (109 miliardi di dollari), ed in misura minore l'assistenza medica. Ma è soprattutto sulla classe media che il combinato disposto tra ritocco delle tasse e riduzioni di spesa pubblica produrrebbe i sacrifici maggiori: l'aumento delle aliquote per i super-ricchi vale infatti 42 miliardi, mentre l'innalzamento del prelievo (dal 25 al 28 per cento) sui redditi tra i 44 mila e 85 mila dollari ne vale ben 215. Quanto ai disoccupati perderebbero 108 miliardi di sussidi, e le imprese 73 di benefit federali. Queste cifre ci dicono due cose: quanto sia diverso, e più leggero, il sistema fiscale americano; e quanto siano circostanziati, fino alla virgola, i programmi della Casa Bianca e dell'opposizione. Sarà bene, visto che tra meno di due mesi noi italiani siamo chiamati alle urne, non perdere di vista questo esempio. Abbandonando fin da subito il sogno di aliquote fiscali tipo Usa, ciò che invece dovremmo pretendere è la stessa puntigliosa chiarezza nei programmi della politica: quanto, quando, come. Purtroppo non ne troviamo traccia nei manifesti e negli slogan di sinistra e destra, e ahimè neppure nella attesissima agenda Monti, ora che si è finalmente palesata per scritto. Il cavallo di battaglia berlusconiano è l'abolizione dell'Imu, almeno sulla prima casa, costo 3,5 miliardi: per il Cavaliere la copertura sarebbe garantita da un aumento delle imposte «su tabacchi, birra, giochi e superalcolici», più qualche altra cosetta. C'è da fidarsi? Magari. La sinistra bersanian-vendoliana offre invece «un giro di solidarietà fiscale», cioè una patrimoniale sui beni immobili (le solite case) per ridurre l'Imu «sulle fasce deboli». Che tipo di patrimoniale? Di quale entità? A partire da quali patrimoni? Bersani non lo sa o non lo dice: un giorno parla di un milione di euro, un altro di 700 mila. Né spiega quali siano per lui le fasce deboli: i redditi dichiarati? In un paese in cui la metà della popolazione dichiara introiti da fame, e tuttavia è padrona di casa? Inoltre il segretario del Pd non spiega se questo prelievo si applicherebbe una tantum - ma allora non si può ridurre l'Imu strutturalmente - oppure ogni anno, ma allora sarebbe una mera redistribuzione delle aliquote Imu, secondo la classica formula della sinistra. Formula che compiace certi serbatoi elettorali, ma finisce per premiare i furbi e gli evasori e penalizzare gli onesti, che hanno l'unico torto di vivere in case decorose e soprattutto accatastate secondo la legge. Purtroppo neppure Mario Monti sfugge alla vaghezza e all'ambiguità che si possono rimproverare a Berlusconi e alla sinistra. Nella sua agenda il capitolo tasse dice, letteralmente, questo: «Per la prossima legislatura occorre un impegno, non appena le condizioni generali lo consentiranno, a ridurre il prelievo fiscale complessivo, dando la precedenza alla riduzione del carico fiscale gravante su lavoro e impresa. Questa va comunque perseguita anche trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e sui consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio. Servono meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali. In questo modo il fisco diventa strumento per perseguire anche obiettivi di maggiore equità nella distribuzione del peso dell'aggiustamento. Bisogna inoltre realizzare un nuovo Patto tra fisco e contribuenti per un fisco più semplice, più equo e più orientato alla crescita. Seguendo l'impostazione tracciata dalla legge delega in materia fiscale, il cui esame non è stato completato dal Parlamento». Un paio di modesti consigli al Professore, del quale abbiamo grande stima. Primo: può essere preciso? Secondo: può evitare di cadere nella retorica dell'equità, del «Patto» (con la maiuscola), del fisco «più semplice, più equo, più orientato alla crescita»? Per esempio, può chiarire che cosa intende per «grandi patrimoni» da sottoporre a prelievo aggiuntivo? Un milione? Due milioni di euro? In immobili o in ricchezze finanziarie? Quali sono «i consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio», evidentemente da assoggettare anche quelli a super-tassazione? Uno yacht, un elicottero, un purosangue, oppure come emerge dalle ultime versioni di redditometro e spesometro basta sommare un viaggio a Parigi, una retta scolastica e una terapia medica particolare per venire individuati come ricchi? E a proposito di fisco «semplice ed equo», e relativo Patto, come si concilia con le 128 banche dati di cui ormai dispone il sistema tributario italiano, una mostruosità denunciata dalla stessa Agenzia delle Entrate, che tuttavia non riescono a debellare l'evasione fiscale, mentre fanno perdere soldi, tempo pazienza e soprattutto fiducia ai cittadini? E ancora: visto che il governo ha appena autorizzato per il 2013 un aumento delle addizionali locali che, combinato con la nuova imposta sui rifiuti, taglieggerà di 1.500 euro in media ogni famiglia, perché la sua agenda non prevede di ripianare i deficit locali con vere privatizzazioni di quel capitalismo municipale che è una delle piaghe del Paese, anche per il malcostume che alimenta? È normale che un comune non del profondo Sud, ma Torino, accumuli 3,5 miliardi di debiti inguaiandosi con i derivati, ma al tempo stesso mantenga la proprietà di aeroporti, autostrade, e municipalizzate varie? Coraggio Professore: la sua agenda è un bel manifesto politico, e la sua «salita» può davvero cambiare l'Italia. Ma ora ci dica, con cifre e percentuali, di che cosa stiamo parlando, e perché dovremmo votarla. Se lo fa Obama, può e deve farlo anche Mario Monti.

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