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diFrancesco Perfetti Quanto ha scritto qualche giorno fa il Wall Street Journal e cioè che la «luna di miele» del premier Monti è ormai finita è un dato di fatto.

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C'èuna incompatibilità di fondo tra la democrazia liberale e la tecnocrazia. Quest'ultima, per la sua stessa natura, riesce a operare soltanto in una situazione, diciamo pure così, di "sospensione della democrazia" rappresentativa e dei suoi istituti. Il Parlamento viene, di fatto, esautorato e ridotto al rango di puro e semplice ratificatore, grazie al meccanismo del ricorso sistematico al voto di fiducia, di quanto deciso dal potere esecutivo. C'è, insomma, in un regime tecnocratico o, se si preferisce, in presenza di un "governo tecnico" sorretto da una maggioranza atipica come quella attuale, una pericolosa confusione tra potere esecutivo e potere legislativo. Il che - è intuitivo, ma val sempre la pena di rammentarlo - non fa certamente bene né alla democrazia in quanto tale né ai suoi istituti. Il governo Monti, fortemente voluto dal Capo dello Stato con una procedura per molti versi eterodossa e subìto malvolentieri (ma con un sospiro di sollievo) da una classe politica sommersa dal fango degli scandali e dal discredito, in quasi sette mesi di esistenza ha accreditato di sé l'immagine di un "governo delle tasse" e, soprattutto, di un esecutivo eterodiretto che ha ceduto larghe porzioni di sovranità nazionale. È più che comprensibile che esso abbia perduto e stia perdendo consenso e popolarità. La politica del rigore senza misure volte ad attenuarne gli effetti depressivi sull'economia, senza cioè il contestuale varo di provvedimenti di incentivazione dello sviluppo economico, non è in grado di sortire effetti positivi. Tanto più che questa politica del rigore - della quale, ricordiamolo, i cittadini non hanno ancora sperimentato l'effettiva portata e le reali conseguenze - non è stata accompagnata da una altrettanto decisa azione volta a incidere sui costi e sugli sprechi della politica, sui privilegi di cui godono (e vivono) partiti e politicanti, sulle rendite di posizione. La verità è che il governo Monti, come tutti i governi tecnici, vive nel mito di se stesso e della infallibilità di ricette che gli sono state suggerite dalla burocrazia non soltanto nazionale: è un'oligarchia tecnocratica lontana dal cittadino comune, ignara dei suoi problemi, pronta a porgere con troppa facilità e remissività orecchio ai diktat di Frau Merkel, incapace di imporsi e di reagire con sufficiente energia a pretese fondate sull'egoismo nazionale dei tedeschi. Si è avuta l'impressione che il premier e il suo governo siano troppo appiattiti su una posizione che mette in secondo piano gli interessi dell'Italia e degli italiani. Ma c'è dell'altro. Quel che è più grave è il fatto che molte, troppe misure, anche sotto il profilo tecnico, lasciano a desiderare e suscitano perplessità. La stretta fiscale, per esempio, ha finito per abbattersi come una mannaia crudele e impietosa sui ceti medi, sul lavoro dipendente e sull'universo dei pensionati: sui soliti noti, cioè, su coloro che hanno sempre pagato le tasse e che sempre le pagheranno perché non possono non pagarle. L'introduzione e la definizione dell'Imu sono state fatte in un modo tale da lasciare indeterminata la definizione dell'importo finale da versare condizionato all'incasso della prima rata: una prassi in contrasto col principio costituzionale della conoscenza certa, e definita per legge (articolo 23 della Costituzione), della contribuzione impositiva. I provvedimenti sugli esodati, con la discrepanza di cifre tra la fonte ministeriale e quella dell'Inps e con il conseguente litigio tra la Fornero e i vertici dell'ente previdenziale, rischiano, conseguenze economiche a parte, il ridicolo. Il caos sull'iter del decreto anticorruzione e sul maxiemendamento del governo, indipendentemente da possibili profili di dubbia costituzionalità di alcune norme, non depone a favore della abilità e capacità tecnica del governo dei tecnici. E, del resto, discorso non dissimile potrebbe essere fatto a proposito della spinosa questione della Rai con l'indicazione, da parte del premier, di un direttore generale la cui nomina sarebbe di pertinenza di un consiglio di amministrazione non ancora costituito. Ho citato soltanto alcuni punti che, forse, nel loro insieme spiegano la difficoltà e la fine della "luna di miele" del governo Monti. Un governo che, dal punto di vista degli effetti della sua azione sul mercato internazionale, non ha fatto registrare grandi successi se è vero, come è vero, che la speculazione finanziaria si accanisce sull'Italia, che il famigerato spread fra titoli italiani e tedeschi continua a mantenersi a livelli altissimi e che gli indicatori della recessione sono tutti positivi. Naturalmente la colpa di tutto quello che accade non è solo del governo. È, in gran parte, anche della situazione finanziaria e speculativa internazionale e, in Italia, dei partiti. I quali mal tollerano il fatto di essere stati messi da parte e continuano, con pervicace incoscienza, a discutere accademicamente (o a litigare) su riforme che non faranno e che non potranno fare, a cercare di separare le proprie responsabilità da quelle del governo sulla politica di rigore, a ipotizzare scenari di interruzione della legislatura, a trescare, secondo schemi di una politica vecchia e inadeguata alle sfide di una società profondamente mutata, per definire alleanze per il futuro e per la riconquista, da parte loro, di una posizione oligopolistica di potere che consenta il mantenimento di posizioni e rendite di posizione. È, insomma, una vera e propria fiera - quella alla quale stiamo assistendo - della "cattiva politica" che è, poi, il risultato più eclatante della "assenza di politica". O, se si preferisce, del commissariamento della politica. Da questa situazione si può uscire (forse) soltanto con una assunzione di responsabilità. Da parte del governo, che dovrebbe abbandonare soprattutto in vista del prossimo consiglio europeo la posizione di sudditanza nei confronti della Merkel per dare segnale forte ai mercati e una risposta alla speculazione. Ma anche e soprattutto parte dei partiti che dovrebbero evitare di giocare con il fuoco e rifondarsi rinnovandosi. In mancanza di ciò, all'orizzonte non si profila che il caos. Per tutti.

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