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La tentazione di Passera

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Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera

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Corrado Passera, il ministro dello Sviluppo, si è rivelato un eccellente incassatore. Non ad uno sportello bancario, lui che pure di banche s'intende di certo per averne praticamente creata una, quella delle Poste, e guidato il gruppo di Intesa San Paolo. Egli ha l'aria di un eccellente incassatore anche allo sportello politico. Dove l'incasso che vale è quello tutto metaforico di chi sa subire i colpi. O, se preferite, di chi sa fare buon viso a cattivo gioco, senza per questo indulgere per forza all'ipocrisia. Per quanto potesse e possa tuttora essere visto come il ministro più espropriato di competenze dal ricorso del presidente del Consiglio ad altri tecnici, commissari e simili per allungare il passo del governo, Passera ha colto la prima occasione offertagli da un giornale, per giunta fra i più critici verso questa svolta, per coprire Monti di elogi. È «il migliore presidente del Consiglio possibile, persona di straordinaria credibilità, competenza e doti umane», ha detto di lui il ministro l'altro ieri a «Il Fatto», assolvendolo, e assolvendosi, da «qualche inevitabile errore e ingenuità» compiuti in questi primi e difficili mesi di lavoro governativo. Che egli ha paragonato all'intervento su «un aereo che perdeva quota». Tanto bravo, questo Monti, da meritare l'anno prossimo anche il Quirinale, succedendo a Giorgio Napolitano? «Non spetta a me dirlo», ha risposto Passera dopo avere tuttavia espresso l'opinione che «con la prossima legislatura si tornerà alla situazione politica fisiologica». Che presuppone, penso, la formazione di governi eletti, come ci siamo abituati a dire e a pensare in questi diciotto anni di seconda Repubblica. Con tutti, ma proprio tutti i partiti, e relative coalizioni, presentatisi alle urne indicando persino nella scheda elettorale il loro candidato a Palazzo Chigi, pur senza poter togliere al capo dello Stato la prerogativa costituzionale di nominare presidente del Consiglio il vincitore della partita. Passera, in verità, ha indicato anche una nuova legge elettorale fra le necessità del Paese, mostrando quindi di non condividere le norme che hanno permesso dal 1994 in poi avvicendamenti a Palazzo Chigi per effetto prevalente dei risultati del voto: «prevalente» perché non sono mancati neppure in questi anni cambiamenti di governo non collegati direttamente ad un esito elettorale. Sono, in particolare, quelli che hanno portato a Palazzo Chigi Lamberto Dini nel 1995, Massimo D'Alema e Giuliano Amato, rispettivamente, nel 1998 e nel 2000 e Monti nell'autunno scorso. Ma anche con una nuova legge elettorale, se si riuscirà davvero a farla, è difficile pensare di potere catalogare come «fisiologica», per ripetere l'aggettivo di Passera, un'altra edizione dell'attuale governo tecnico di un Monti peraltro deciso, almeno sino ad ora, a non lasciarsi tentare dalla partecipazione ad una competizione elettorale. Lo aiuta a resistere pure la figura di senatore a vita assegnatagli con lodevole accortezza dal capo dello Stato proprio alla vigilia della nomina a presidente del Consiglio. Dalle elezioni invece Passera è tentato, eccome. Lo ha confermato quando ha accettato di rispondere ad una domanda sul nuovo partito che si è proposto di costruire Pier Ferdinando Casini, che fa esplicito affidamento anche su qualcuno degli attuali ministri tecnici. Di questo partito, Passera ha tenuto a indicare che cosa non debba essere, o proporsi di essere, perché lui possa evidentemente parteciparvi. Non deve essere quella che il suo intervistatore ha definito una «riesumazione della Democrazia Cristiana», peraltro negata formalmente dallo stesso Casini. «Come cittadino e come credente non credo sarebbe una buona idea», ha detto, o avvertito, il ministro.

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