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Monti avvisa gli evasori fiscali. Passera: "Sanzioni"

Il premier Mario Monti

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Meglio più tasse che «finire come la Grecia». Il premier Monti guarda avanti, rimanda al mittente le critiche dei partiti che si sono schierati al fianco dei tartassati e in Cina incassa la fiducia del primo ministro Wen Jiabao. Il professore parla del Paese, dei suoi progressi, della lotta all'evasione fiscale. La giornata del premier comincia nel salone dell'Assemblea del Popolo e continua nel tempio del pensiero del Partito comunista, la sua altrettanto gigantesca «scuola quadri». Poi si sofferma sulla situazione italiana e pur comprendendo il disagio degli italiani avverte che aumenti tariffari e fiscali, per quanto «rozzi», sono sempre più accettabili del rischio di «finire come la Grecia». A Pechino Monti rilancia il made in Italy con l'obiettivo di accrescere gli investimenti cinesi nel nostro paese. Poi, in conferenza stampa, affronta le questioni interne. Prima quelle politiche: esclude «passi indietro» e smentisce vertici di maggioranza. Poi quelle fiscali. Non dimentica la lotta all'evasione. Conferma che non servono nuove misure e, soprattutto, che per combattere le illegalità non c'è bisogno del consenso degli evasori. Insomma, il governo non arretra di un millimetro. Tant'è che dall'Italia il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, di fronte ai dati dei redditi rilancia sostenendo che servono «norme migliori» e chiedendo per gli evasori una «sanzione sociale». Anche la seconda giornata a Pechino di Mario Monti è stata lunga e densa di impegni diversi. Il premier viene accolto con gli onori militari riservati ai capi di Stato, perché dopo l'incontro con Hu Jintao a Seul la missione è stata elevata al rango di «visita ufficiale». Nelle enormi stanze in stile maoista, Monti parla di Pechino come di un «partner strategico» con cui l'Italia deve necessariamente «rafforzare» i legami. Wen lo ringrazia, riconoscendo la «solidità» dell'economia italiana. Sul piano bilaterale, il capo del governo italiano non nasconde passi avanti: parla di agenda ricca di progressi. Su diritti umani e libertà individuali, resta sul solco tracciato dal presidente della Repubblica: fa sue le parole di Giorgio Napolitano, «capire per giudicare», che non significa non «condannare», ma semplicemente abbandonare posizioni preconcette. È evidente, però, che l'approccio pragmatico, secondo cui gli interessi in ballo sono tali da non poter essere sacrificati per battaglie utili in patria ma con pochi effetti in Cina, ha la meglio. Il secondo appuntamento è quello che, come riconosce lui stesso, lo «emoziona» di più. Anche se gli «studenti» sono funzionari quella che tiene alla Scuola centrale del partito comunista è pur sempre una lezione. In cui il professor Monti bacchetta il capitalismo. «Vengono un po' i brividi a dire questo qui», riconosce lui stesso, ma credo che pur essendo il modello migliore, da quando è diventato monopolista dopo il crollo del Muro abbia lasciato un «eccessivo predominio dell'impresa e del capitale». Nel terzo appuntamento, all'istituto italiano di cultura, il professore torna ad indossare i panni del capo di governo. E così, dopo essersi detto lieto che in Italia le «acque si siano calmate», rimarca di non aver compiuto nessun «passo indietro» perché non c'era stato nessun attacco ai partiti; nega incontri al Quirinale o pressioni dal Colle, così come imminenti vertici di maggioranza. Affronta anche il nodo caldissimo delle buste paga più leggere e delle stangate tariffarie: ricorda che parte di quegli aumenti sono stati decisi da governi precedenti, ma per altri si assume, comunque, la completa responsabilità.  Sull'evasione, infine, è il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, a cercare di calmare gli animi. Invita a evitare le contrapposizioni «tra guelfi e ghibellini» e chiede piuttosto «un cambio della cultura per superare l'emergenza dell'evasione». In ogni caso i blitz stile «Cortina» (ieri a Firenze) continueranno.

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