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Alfano non sarà una meteora

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Il segretario del Pdl Angelino Alfano

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Non so, francamente se Angelino Alfano ha veramente quello stomaco di ferro attribuitogli ieri da Silvio Berlusconi. Che, volendo sotterrare gli equivoci provocati da quel certo «quid», addirittura «la storia», di cui aveva lamentato la mancanza parlandone come di un possibile candidato a Palazzo Chigi nelle elezioni dell'anno prossimo, ha ieri assicurato che Angelino «si mangia a colazione, pranzo e cena tutti i segretari» degli altri partiti «in campo». Ce ne vuole di stomaco, sotto tutti i punti di vista, per mandare giù e digerire tanta roba. Ma lo stomaco di Alfano ha il supporto di quello del Cavaliere. Che, per quanto affaticato, e costretto alla dieta dallo scorso autunno con le dimissioni da presidente del Consiglio, ne ha mangiati e digeriti di avversari e concorrenti in diciotto anni di battaglie elettorali e parlamentari. Non è del tutto immaginario, o per forza destinato ad una breve ed effimera stagione politica, quello che mi viene voglia di chiamare BerluscAlfano: un personaggio sintesi di Berlusconi, con la sua imprevedibilità, il suo coraggio, la sua irriducibilità, e non solo i suoi errori, e di Alfano, con la sua origine democristiana, la sua giovane età, una certa tecnica della politica sperimentata anche a livello istituzionale nei circa tre anni trascorsi alla guida del difficilissimo Ministero della Giustizia, spesso a contatto di gomito con un presidente della Repubblica di spessore com'è stato ed è Giorgio Napolitano. Sono esperienze che segnano e formano un uomo politico. Esse avrebbero dovuto sconsigliare l'altra sera ad Eugenio Scalfari, dall'alto della sua pur venerabile età ed esperienza professionale, nel salotto televisivo di Daria Bignardi, di equiparare barbaricamente Alfano, in linea con il titolo della trasmissione, ad un uomo al servizio del «padrone». E l'estate scorsa a Pier Luigi Bersani di salutarne l'arrivo alla guida del Pdl definendolo «segretario del segretario», come se si trattasse -che so?- di una riedizione politica, rispetto a Gianfranco Fini, di Italo Bocchino. Il quale peraltro è stato, fra tutti quelli intervenuti a commentare e interpretare quel certo «quid» non avvertito da Berlusconi in Alfano, il più tempestivo ma anche il più imprudente, aiutando a capire meglio ciò che bolle nella pentola del terzo polo. Dove le pur legittime ambizioni di crescita, per carità, rischiano di diventare così smodate da finire come le rane. In particolare, Bocchino ha paragonato il Pdl attuale, alla vigilia delle elezioni amministrative del 6 maggio, alla Dc di Mino Martinazzoli dell'autunno 1993, quando lo scudo crociato perse dappertutto, non riuscendo a portare il suo candidato al ballottaggio neppure a Roma, dove la partita capitolina si giocò tra Francesco Rutelli e Fini. E peraltro vinse Rutelli, nonostante la preferenza per Fini espressa da Berlusconi, pur non votando nella Capitale, con dichiarazioni che in qualche modo ne anticiparono la decisione di «scendere in politica» nelle ormai imminenti elezioni politiche generali. «Raccoglieremo i cocci del Pdl -ha detto Bocchino in una intervista pubblicata l'altro ieri su il Riformista- come noi quelli della Dc nel 1993». Ecco quindi che cosa aspettano da quelle parti: una sonora sconfitta amministrativa del Pdl il 6 maggio, e negli eventuali ballottaggi di quindici giorni dopo, per ingoiarne i resti. Proprio per facilitare questo obbiettivo sono venute dal partito di Bocchino, cioè di Fini, le maggiori resistenze ai tentativi di Alfano di fare accordi con il terzo polo per gli appuntamenti elettorali di maggio, magari propedeutici ad intese politiche più generali, per una ricomposizione dello schieramento di centrodestra o, più in generale, dei moderati. La cui unità Berlusconi non a caso è tornato ieri ad auspicare per scongiurare nelle elezioni politiche del 2013 una vittoria della sinistra: quella della foto di Vasco, pur tanto indigesta a Walter Veltroni e a molti altri nel Pd, con Bersani, Vendola e Di Pietro. Ma, più che dal partito di Bocchino, che era allora il Movimento Sociale, la maggior parte dell'elettorato della Dc di Martinazzoli, come degli altri vecchi partiti di governo spazzati da Tangentopoli, fu raccolto con Forza Italia da Berlusconi. Che ospitò nelle sue liste l'allora Ccd di Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Molta acqua è certamente passata da allora sotto i ponti della politica, ma vendersi la pelle dell'orso prima di averlo ucciso rimane sconsigliabile. Non a caso il pur critico Casini non parla, e forse non pensa, come Bocchino.  

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