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La ricetta anticrisi del Papa

Papa Benedetto XVI

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Ripartire da Madrid, guardare all'Africa. Nei tradizionali auguri natalizi alla Curia Romana, Benedetto XVI fa - come di consueto - il punto della situazione annuale. Spiega che la crisi economica è prima di tutto «la crisi etica del vecchio continente». Ritorna alla necessità di guardare a Dio, di pregare, di raccogliersi in adorazione per riscoprire il colloquio profondo con il Padre, perché «solo a partire da un tu, l'io può ritrovare se stesso». E invita tutti i cristiani ad evitare una tentazione: di fare come la moglie di Lot, che guardandosi indietro divenne una statua di sale. Il guardare indietro dei cristiani di oggi è «la stanchezza dell'essere cristiani, ripiegati sul proprio benessere». È una crisi che riguarda soprattutto l'Occidente. Mentre in Africa - dove il Papa ha compiuto l'ultimo viaggio del 2011 - Benedetto XVI ha confidato di non aver percepito «alcun cenno di quella stanchezza della fede tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell'essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile». Benedetto XVI guarda indietro agli eventi dell'anno. Enumera i viaggi in Croazia, Spagna, Germania, Benin, l'incontro interreligioso di Assisi. E nell'analisi del Papa, quel «nocciolo della crisi della Chiesa in Europa, la crisi della fede» sembra quasi trovare risposta nella gioia della Chiesa del Benin. Occorre ripartire da Madrid, dai due milioni e più che sono rimasti in adorazione sotto la tormenta (e il Papa con loro). Da lì parte Benedetto XVI per un programma in cinque punti. Il primo, l'universalità. La comune liturgia delle Gmg è una «patria del cuore» perché «nonostante tutte le fatiche e le oscurità è bello appartenere alla Chiesa universale». E poi donare il tempo per dare senso al tempo - come hanno fatto i volontari di Madrid - non per «paura dell'inferno» o per «guadagnarsi il cielo», ma semplicemente «perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello». Lo diceva San Francesco Saverio, lo fanno le suore di Madre Teresa in Benin, le quali si prodigano per gli ultimi «senza porsi domande su se stesse, e proprio così diventano interiormente ricche e libere». Il terzo passaggio, l'adorazione - il Papa ha negli occhi quelle della Gmg di Madrid, di Zagabria, di Hyde Park in Inghilterra. Perché «Dio non è una qualsiasi possibile o impossibile ipotesi sull'origine dell'universo. Egli è lì. E se Egli è presente io mi inchino davanti a Lui». Quindi, la penitenza, e la richiesta di perdono, che «significa responsabilità». Infine, la gioia della fede. Una gioia che Benedetto XVI ha visto a Madrid, ha visto in Africa, e che legge sulla chiave dell'amore, citando l'opera Josef Pieper, teologo tedesco, sull'amore e la gioia, complice indiretto della conoscenza tra Ratzinger e Karol Wojtyla. La gioia - dice il Papa - «viene dalla certezza che proviene dalla fede: io sono voluto. Ho un compito. Sono accettato. Sono amato». Prosegue: «Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia», ma, «laddove diventa dominante il dubbio riguardo Dio, segue inevitabilmente il dubbio circa lo stesso essere uomini». Perché «la fede rende lieti a partire dal di dentro».

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