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La tragedia greca non diventi una commedia italiana

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro per l'Economia Giulio Tremonti

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Se il governo ed il centrodestra non vogliono assistere alla trasformazione della tragedia greca in una commedia italiana devono prendere coscienza di alcune cose, ed agire subito. Nel giro di ore, forse di minuti. Diversamente Silvio Berlusconi cadrà non per qualche Rubygate, né battuto da un'opposizione senza leader e programmi: ma perché gli verrà addebitato di aver messo a rischio i portafogli di famiglie e imprese. L'Italia sarà commissariata anche nella forma da un esecutivo tecnico, del quale si intravvedono avvisaglie e nomi. E per l'industriale di successo che diciotto anni fa ha rivoluzionato la politica dando cittadinanza a concetti come merito, ricchezza e guadagno, l'uscita non potrà essere più amara. Certo, i crolli delle borse mondiali e l'impennata degli spread, non sono in tutto colpa dell'Italia e del Cavaliere. Ma ripeterlo non ci esonera dalle responsabilità né soprattutto dai rischi. Ieri il fattore esterno si è materializzato nell'idea del governo di Atene di sottoporre a referendum il piano europeo che prevede tra l'altro un taglio del debito greco. Iniziativa apparsa cervellotica soprattutto perché l'haircut dovrebbe ridare ossigeno alle finanze elleniche consentendo un rientro dell'indebitamento al 120 per cento. L'irrazionalità è giunta al punto di chiamare in causa la psicanalisi: il premier George Papandreu, figlio e nipote di primi ministri che dalla caduta dei Colonnelli sono stati padri-padroni del Pasok, il partito socialista, è nato negli Usa, ha studiato e vissuto tra Massachusetts, Inghilterra e Svezia. C'è chi lo accusa di esprimersi in un greco stentato e sgradito ai cittadini, che già non hanno il morale alle stelle. Pare dunque che nel Pasok gli abbiano consigliato il referendum come alibi nazionalista per riconquistare un elettorato nel quale l'ostilità all'asse franco-tedesco, percepiti come svolazzanti avvoltoi, è giunta al punto di bruciare le bandiere e innalzare la svastica sui pupazzi di Angela Merkel. Ma poiché il referendum non potrebbe che risolversi con la vittoria del no (i sondaggi la danno al 60%), ecco che tutti i piani di cui si discute da un anno e mezzo finirebbero cestinati e la Grecia uscirebbe dall'euro. Dunque, giusto per non farsi mancare nulla, per neutralizzare il referendum i partiti mediterebbero le elezioni anticipate; ipotesi che peraltro non cambierebbe l'esito probabile dell'addio all'euro. A tutto ciò si aggiunge un altro tocco di pathos: il massiccio ministro delle Finanze Evangelos Venizelos colto malore, ricoverato in ospedale, non prima di aver tuonato di non sapere nulla di referendum, elezioni o simili. A molti sembra che l'uscita di scena della Grecia ed un default più o meno disordinato (ma finora tutto si è svolto nella razionalità?) potrebbero rappresentare la soluzione più realista per un'Europa che non è stata in grado di affrontare i problemi di un paese tanto carico di gloria remota quanto ormai marginale. E forse il ritorno alla dracma non sarebbe un dramma per la Grecia stessa, dove esistono imprenditorialità e ricchezza, ma non standard sociali raffrontabili con quelli europei, a cominciare dal concetto di pagare le tasse. Basta riflettere sul fatto che mentre i prezzi delle case crollano nel Peloponneso, aumentano del 500% in Bulgaria, e così i depositi bancari a Cipro: mete dei capitali offshore dei greci benestanti. Senza l'euro la Grecia potrebbe tentare di imitare la rivale Turchia, che sta vivendo una fase di crescita economica e politica. O più probabilmente diverrebbe un protettorato della Cina nel Mediterraneo. Sulla tragedia greca potrebbe insomma calare il sipario se essa non producesse già gli effetti a cascata noti da mesi. La prima linea del rischio si sposta verso Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda; e non solo. E pur con i fondamentali migliori, che non sono un'invenzione del governo, i più esposti siamo noi. Per una serie di motivi. Cominciamo dai bizantinismi tecnici. Esempio: Italia e Germania sono le più imbottite di Cds sulla Grecia – i Credit default swaps, le assicurazioni contro il fallimento di Atene – saliti a livello 3.012 (l'Italia quota 445). Ma secondo l'Isda (International swaps and derivates association) i Cds non verrebbero rimborsati con un default controllato, e forse neppure disordinato. Nel primo caso in quanto «volontario», nel secondo perché i Cds fanno riferimento ad un debito in euro. Di conseguenza le nostre banche e fondi, già colpite dalla decisione dell'Eba (Euro banking association) di imporre ricapitalizzazioni superiori a quelle francesi e tedesche, pur essendo più virtuose di loro sui titoli tossici, subirebbero una nuova stangata. Isda, Eba, Cds, spread: sigle già indicative di quali giochetti sia fatta la finanza mondiale, e che danno ragione a Warren Buffet quando definisce i Cds «armi finanziarie di distruzione di massa» (peccato che neppure lui ne sia immune). Tuttavia il nostro governo non può cavarsela dando la colpa alla Grecia, alla speculazione o perfino ai menagrami. Come prima del brusco risveglio di ieri hanno fatto alcuni ministri – come Giulio Tremonti – tra le brume del ponte di Ognissanti e le sagre della zucca. Pochi giorni fa scrivemmo che la lettera d'intenti pretesa da Bruxelles costituiva per Berlusconi una prova del «fattore C» perché lo blinda a palazzo Chigi. Ma annunciare misure senza attuarle – anzi imbastendoci dibattiti senza capo né coda – e senza un seguito concreto, lo spedisce dritto a casa. I mercati avevano già testato la reattività del governo venerdì 28, ottenendo per i Btp un tasso si oltre il 6 per cento. Reazioni? Zero. Ora il Cavaliere corre ai ripari, con telefonate alla Merkel, summit notturni e riunioni di governo straordinari. Obiettivo, presentarsi al G20 di domani a Cannes con alcune cose concrete. Stavolta l'annuncio non basterà: occorrono decreti e decisioni anche impopolari. Dalle pensioni fino, forse, al ricorso alla nostra enorme ricchezza privata almeno per sostenere i Btp. Lega o non Lega, Tremonti o non Tremonti. E l'opposizione deve dimostrare responsabilità senza chiedere le solite contropartite-scorciatoie. Saranno gli elettori, dopo, a giudicare il Cavaliere ed i suoi avversari. Diversamente arriverà un commissario, non solo a Bruxelles ma a Roma. E sarà il The End per tutti.

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