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Scene da una riforma impossibile

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L'analisi Da uno studio dell'Inps emerge che l'aumento dell'età di pensionamento delle donne nel settore privato a 65 anni colpisce una fascia socialmente debole. Salve invece le anzianità

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Dopoil niet della Lega, restano sul tavolo solo un paio di ipotesi: innalzamento dell'età di pensionamento per le donne del settore privato che verrebbe portato a 65 anni, interventi sulle baby pensioni e su quelle d'invalidità, un taglio alle reversibilità. Una cosa però è certa: i trattamenti di anzianità non si toccano. E non solo per il muro alzato dalla Lega. I sindacati si sono ricompattati per salvare le uscite con 35-40 anni di contributi. Eppure le pensioni di anzianità sono quelle che richiedono un maggior esborso da parte del sistema previdenziale pubblico. In ballo non ci sono tanto quegli operai di cui parla la Lega che hanno cominciato a lavorare in età molto giovane. Costoro, secondo le valutazioni dell'Inps rappresentano una minoranza. Il grosso delle uscite riguardano i dipendenti della pubblica amministrazione. Se resterà in vigore l'attuale sistema di anzianità di qui al 2018 andranno a maturazione le pensioni con importo più alto perché calcolate con il sistema retributivo. Questo significa che il loro ammontare è il 2% annuo della media retributiva degli ultimi dieci o 5 anni di lavoro. Questo significa che chi va in pensione con 40 anni di contributi più uno della «finestra», ovvero con 35 se si sottraggono gli anni del riscatto della laurea, percepirà il 95% dell'ultima retribuzione. E si tratta di stipendi di fascia medio alta. Non solo. Costoro in virtù della liberalizzazione del cumulo dei redditi, una volta usciti dal ciclo produttivo possono continuare a lavorare sommando i due redditi. Sbarrando quindi la strada di accesso ai giovani. Da quest'anno al 2018 coloro che andranno in pensione di anzianità avranno gli assegni più alti rispetto sia alle generazioni passate (che hanno il sistema di calcolo misto) sia a quelle successive (che hanno il sistema di calcolo contributivo). Vediamo dalle cifre di un documento Inps, il differente peso tra pensioni di vecchiaia e di anzianità nel lavoro dipendente. Nel 2010 sono andati in pensione di anzianità 83.800 uomini con un assegno medio di 2.000 euro mensili a 58 anni. Con i requisiti di vecchiaia hanno lasciato 31.700 uomini con 877 euro di assegno pensionistico. Diverso il trattamento per le donne. Le donne che sono andate con i requisiti di anzianità erano 26.700 con 57 anni e con 1.600 euro di assegno. Più numerose quelle donne che hanno dovuto aspettare i requisiti di vecchiaia, 60 anni, per lasciare: erano 69.100 per un pensione di soli 643 euro. Per vecchiaia hanno lasciato 31.700 donne con 877 euro mensili di pensione. Le pensioni di vecchiaia, come si evince da questi dati, sono quelle più basse e interessano soprattutto le donne. Spesso si tratta di persone che hanno lavorato per pochi anni, o che hanno avuto vuoti contributivi o che hanno dovuto interrompere l'attività per dedicarsi alla famiglia o accudire un familiare anziano. O si tratta di donne che sono state estromesse dal ciclo lavorativo per crisi aziendali. Tutte queste persone stanno aspettando di arrivare ai fatidici 60 anni per percepire circa 600 euro al mese. Viceversa chi ha maturato 35-40 anni di contributi potrà continuare ad andare in pensione a 58 anni percependo una pensione che per gli uomini si aggira attorno ai duemila euro e per le donne a 1.600 euro.

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