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Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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Più chiaro e tempestivo non poteva essere il segretario del Pdl Angelino Alfano nel lanciare i suoi segnali ai naviganti in attesa della crisi. Il famoso passo indietro di Silvio Berlusconi prima della conclusione della legislatura, e a dispetto del mandato ricevuto dagli elettori, è "impraticabile e ingiusto", come ha detto appunto ieri Alfano. Il quale ha inteso così prepararsi anche agli incontri annunciati con gli attori o protagonisti di quella che si può ormai definire nel suo partito una fronda, anche se gli interessati negano o sminuiscono. L'accantonamento del presidente del Consiglio è impraticabile sul piano politico e costituzionale per la perdurante esistenza di una maggioranza parlamentare a suo favore. È ingiusto perché viene preteso dalle opposizioni con uno spirito punitivo che l'uomo non merita, per quanti errori possa avere compiuto. E ne ha di certo commessi. Berlusconi non può lasciare il campo per indegnità, come gli avversari vorrebbero, sotto l'effetto di un gigantesco processo di piazza sostitutivo di quelli falliti nei tribunali, o lontani dalla loro conclusione, o solo dal loro avvio. Vale anche a favore del Cavaliere il monito rivolto da Aldo Moro nell'aula di Montecitorio quando l'allora presidente della Dc disse: "Non ci faremo processare sulle piazze". Come una certa sinistra rappresentata anche in Parlamento desiderava, o minacciava, con il pretesto delle tangenti Lookeed. E lo disse senza timore di mettere a repentaglio la maggioranza di cosiddetta solidarietà nazionale, comprensiva dei comunisti, che sosteneva allora un governo scudocrociato. Quello era uno statista, che purtroppo lo Stato non si sarebbe rivelato in grado di proteggere dai terroristi rossi. Spiace che Lorenzo Cesa, un uomo proveniente dal partito di Moro, e formalmente segretario di un partito, l'Udc, guidato di fatto dall'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, abbia criticato le parole di Alfano dicendo che "una buona politica impone prima di tutto serietà". È appunto la serietà che obbliga il Pdl, e non solo il suo segretario, a non abbandonare Berlusconi alla ferocia dei suoi avversari, o agli opportunisti.  

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