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Maroni non si ferma più

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Roberto Maroni

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Lavora dietro le quinte. Riduce le dichiarazioni pubbliche allo stretto indispensabile. Evita le polemiche e sembra essersi ritirato dalla politica urlata tipica dei suoi colleghi nordisti. Questa è la strategia di Roberto Maroni: ogni mossa è ponderata. Tutto deve essere fatto per raggiungere uno scopo e in questo momento l'obiettivo del ministro dell'Interno è liberare il campo dalla presenza ormai ingombrante dell'Umberto senza che nessuno possa ritenerlo responsabile del "regicidio". Un piano che ha preso definitivamente consistenza qualche mese fa e che, basandosi sulla regola «fedele al capo in pubblico, promotore di se stesso in privato» inizia a dare i suoi effetti. Una svolta iniziata lo scorso 30 maggio 2011. La tensione tra Pdl e Lega era alle stelle. Berlusconi aveva deciso, senza consultare l'alleato, di appoggiare i raid aerei sulla Libia. Un vero e proprio tradimento che sanciva la fine del rapporto di stima tra i due leader. Poi a fine maggio un viaggio a Bucarest. Alla visita di Stato erano invitati il presidente del Consiglio e il ministro dell'Interno. Una ghiotta occasione per il Cav che sfruttò la trasferta per dare sostegno al ministro nel suo progetto di mettere all'angolo l'ormai "anziano" Senatùr (compirà 70 anni domani). Da quel giorno "Bobo" iniziò ad alzare la cresta lanciando la scalata alla segreteria federale del movimento. Tutto questo, logicamente, in sordina. Apertamente Maroni dice di Bossi che «è il nostro leader e non si tocca», poi però sul territorio si prepara a una stagione di congressi durante i quali portare a casa il maggior numero di posti da riservare ai propri uomini. Venerdì sera per esempio è stato il caso di Varese, sezione nella quale il ministro è iscritto. In lizza due "suoi" uomini, ma guai a chiamarli "maroniani" se non si vuole incappare nelle ire di "Bobo" che, aspettando l'esito dello scrutinio, commentava: «L'unico maroniano che esiste è il sottoscritto, stasera (venerdì ndr) c'è stata la dimostrazione che tutte queste distinzioni sono stupidaggini inventate dai giornali. Qui esiste solo la Lega, che è una sola». Sempre dal punto di vista di congressi la prossima sfida invece sarà con gli "avversari" giurati del ministro: i pretoriani dell'Umberto e della moglie Manuela soprannominati "cerchisti". Il terreno dello scontro sarà Brescia dove sotto accusa c'è l'assessore regionale lombardo Monica Rizzi: quest'ultima, indicata come "cerchista", alle scorse elezioni regionali fu coinvolta in uno scandalo per aver confezionato dei dossier a vantaggio della candidatura di Renzo Bossi. Ed è proprio cavalcando questa polemica che i "maroniani" sperano di poter fare il colpaccio sottraendo la città lombarda al controllo di Bossi. Tutto questo sul territorio. Nel palazzo invece Maroni ha già dimostrato di essere influente. Lo ha fatto nei confronti del governo sfidando pubblicamente il ministro Tremonti e il suo «ruolo improprio di presidente del Consiglio», ma anche nei confronti della maggioranza riuscendo, grazie al voto segreto alla Camera, a far arrestare il deputato del Pdl Alfonso Papa. Allora Bossi aveva assicurato il premier che non ci sarebbe stato alcun problema da parte della Lega. Poi lo scontro con una realtà diversa. Una dimostrazione di forza, frutto e conseguenza, di una battaglia interna che sta logorando il movimento nordista. Una storia che si trascina da mesi e che annovera numerose battaglie tra i due fronti. I "cerchisti" che hanno tentato il «golpe» per spodestare Giancarlo Giorgetti dalla presidenza della Lega lombarda. Affronto al quale i "maroniani" hanno risposto tentando di sostituire il "cerchista" Marco Reguzzoni come capogruppo del Carroccio alla Camera con Giacomo Stucchi: un'operazione bloccata all'ultimo momento da Bossi e rinviata sine die. Per ultime sono arrivate le accuse al ministro Maroni di «infedeltà nei confronti di Bossi e della Lega» attraverso il sito web "lavelinaverde.org", voce critica vicina alle posizioni del gruppo dei cerchisti, e, proprio di venerdì, l'ultimo affronto, arrivato direttamente dal Senatùr. Lo scenario è quello della Festa dei Popoli Padani e lo sfogo è di quelli che non lasciano spazio alle interpretazioni: «Calderoli è il mio braccio destro a Roma». E Maroni cosa fa? Tace. Non risponde. È talmente defilato da aver deciso di non prendere nemmeno parte alla cerimonia dell'ampolla con l'acqua del Po raccolta venerdì sul Monviso. Era la prima volta che succedeva dal 1996. Eppure in serata arrivava l'ennesima "pubblica" mano tesa a Bossi. Anzi, meglio ancora, una dimostrazione di stima rivolta alla moglie dell'Umberto: «Manuela Marrone è una persona straordinaria che non merita le cattiverie che sono state scritte. La conosco da 30 anni. Ha svolto e continua a svolgere un ruolo fondamentale dentro la Lega». Oggi la Lega torna a compattarsi a Venezia. Sul palco della Riva dei sette Martiri tutti i vertici della Lega prenderanno la parola e Bossi chiuderà la manifestazione. La tensione è alta. La base leghista chiederà la «secessione», i "maroniani", forse, torneranno a srotolare gli striscioni inneggianti «Maroni premier, subito» e i sostenitori del sindaco di Verona, molto vicino al ministro dell'Interno, quelli con la scritta «Io sto con Tosi». E l'Umberto dovrà cercare di resistere. Forse urlerà o farà gestacci, non rendendosi conto che quei tempi sono finiti. L'unica sua speranza è che Maroni non dia il segnale alle sue truppe. Ma anche questo, prima o poi, accadrà. Anzi, a dire il vero, Maroni è da tempo che lo dice: «Ricordo che nel 1979 quando incontrai Bossi per la prima volta pensai: "Quest chi l'è matt"».

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