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segue dalla prima di RAFFAELE IANNUZZI Certo, il primo provvedimento, dopo la breve carcerazione del romeno, dell'obbligo di dimora, era a dir poco risibile.

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Lasocietà si era subito schierata contro la magistratura, affermando il buon senso, la misura minima della giustizia e, in termini più polemici, il comune senso del pudore. Perché il diritto stava esorbitando dalle mura delle pareti domestiche, dalla civica esemplare di molti italiani, padri e madri, che hanno pianto la scomparsa tragica e delittuosa di Mattia. A poche ore dal funerale, scatta il ritorno della ragione. Di più: della ratio giuridica. Perché la Procura di Velletri ha chiesto al Gip del Tribunale di consegnare ancora una volta il romeno alle patrie galere, per due ragioni esemplari: «Sia per la gravità di assoluto rilievo della sua condotta colposa, sia per l'allarme sociale suscitato». Riflettiamo bene sulle parole, perché esse conducono alla realtà, allo stato oggettivo della realtà. Allora, il romeno ubriaco alla guida aveva forse altri precedenti, o forse no. Sia come sia, si è macchiato di un orrendo delitto e, già domenica scorsa, l'esito del suo comportamento faceva emergere una «gravità di assoluto rilievo». In ciò consisteva appunto la sua «condotta colposa»: aver ammazzato un adolescente buono e sereno, così, come bere un bicchiere di vino. Come stappare l'ennesima bottiglia. Come dire sì o dire no, ma alla vita altrui. In ciò consiste la suprema violenza. L'inaccettabile e odiosa violenza. Le cose stanno così, oggi, ma stavano così anche domenica. Allora, perché prima arrestarlo, dopo scarcerarlo e infine arrestarlo ancora? Certo, vi è anche, si dirà, «l'allarme sociale suscitato». Purtroppo, le periferie di Roma e non solo sono attraversate da questa nuova dimensione di allarme sociale, generato dallo scollamento dei comportamenti degli adulti - spesso immigrati, spesso romeni, spesso provenienti dall'Est - dalla seppur minima etica della responsabilità. È tutto rovesciato, dunque: l'adulto ammazza il giovane e se ne strafotte della responsabilità di essere adulto. Se ciò desta orrore nelle case, non è da meno l'orrore per questa mattanza che, come uno stillicidio guerresco, sbudella l'Urbe da parte a parte. Anche perché si tratta di un orrore che consegna ai testimoni, attoniti, un pregresso horror vacui, un certo straniamento individuale con riverberi giganteschi sulle comunità civili. Ma tutto questo era carnalmente evidente anche quella dannata domenica. Ecco il punto. La questione vera è che il giudizio sullo stato di colpevolezza non è più agganciato a criteri oggettivi, saldi, rocciosi, e dunque, quando si scatena la massa critica che grida allo scandalo, la magistratura torna indietro e proclama pericoloso per la società chi, da tempo e vieppiù nella tragica occasione del delitto, era una mina vagante. È certamente un bene che questo delinquente torni nelle patrie galere, ma non possiamo ingabbiare la ragion civile che impone di tenere alta la guardia sulle scelte sbagliate e sulle scelte che vorrebbero «sanare». Decisivi sono i criteri e l'etica della responsabilità, il cemento delle nostre comunità e la forza di chi le orienta attraverso le norme e il diritto. La giustizia, con le norme e le procedure, ha a che fare soprattutto con la vita concreta delle persone. Attenzione, allora: quando si torna indietro senza la mappa per orientarsi bene, il deserto rischia di diventare l'ultima deriva del nulla.

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