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Romano resta nell'Udc e critica Casini: «In Sicilia un ribaltone»

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Ilcentrista «ribelle» si è dimesso da questi incarichi, pur rimanendo nell'Udc. Lo ha annunciato lui stesso in una conferenza stampa nella sala del Mappamondo a Montecitorio, gremita nonostante nello stesso momento in Transatlantico si stesse votando per l'utilizzo delle intercettazioni su Nicola Cosentino. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è evidentemente l'adesione dell'Udc al quarto governo regionale siciliano di Raffaele Lombardo, composto insieme a Api, Mpa, Pd e Fli. «L'accordo con il Pd di D'Alema - ha spiegato Romano - è la prova di un indizio che da tempo avevo già sollevato: non soltanto si ribalta il voto espresso democraticamente dagli elettori siciliani, ma la Sicilia diventa anche il laboratorio di un'ipotesi politica che non solo non mi convince, ma che contrasto». La sua scelta di lasciare l'incarico nell'Isola ha rilanciato le indiscrezioni sulla nascita di un nuovo partito formato dai «siciliani centristi» in rotta con Pier Ferdinando Casini, che fanno capo a Totò Cuffaro. Oltre a Romano, Calogero Mannino, Giuseppe Ruvolo e Giuseppe Drago, che - neanche a farlo apposta - ieri non erano presenti in Aula per il voto su Cosentino (l'Udc ha votato a favore dell'utilizzo delle intercettazioni). «Io un partito già ce l'ho - ha chiarito Romano - Se poi dovessero sfrattarmi, ho tre possibilità: andare sotto i ponti, chiedere una casa agli amici o costruirmi una capanna, ma questo lo vediamo dopo. Io ora resto nel partito, proseguo la mia battaglia che è tutta interna all'Udc ed è una battaglia di democrazia. Casini - ha aggiunto - mi vuole spingere fuori dal partito il più presto possibile, io gli dico che deve pazientare, non mi faccio intimidire». Per Romano, insomma, l'onere della rottura spetta al leader dell'Udc, colpevole peraltro di aver portato il partito a sinistra con un vero e proprio «ribaltone»: «Sui temi importanti ci siamo appiattiti sul Pd», ha spiegato. «Pertanto - come si legge nella lettera consegnata al segretario Lorenzo Cesa - non mi resta che rassegnare le dimissioni». In un'altra lettera, consegnata stavolta al segretario dell'Aula Angelo Compagnon, il centrista affronta quello che lui definisce «il primo caso di mobbing politico della storia della Repubblica italiana», quello relativo al centrista Michele Pisacane - di cui il segretario Cesa, aveva chiesto alcuni giorni fa l'espulsione dal partito - che è stato spostato dallo scranno assegnatogli all'inizio della legislatura ai banchi di un altro gruppo parlamentare, quello Misto. «Consideriamo tale fatto prima che scortese, arbitrario - scrive Romano e, rivolgendosi a Compagnon, aggiunge - Ti invito a revocare il provvedimento, lesivo della dignità del collega e oltraggioso della nostra comunità politica che osserva dispiaciuta i segni dell'intolleranza». Na. Pie.

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