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Casini adesso ha paura "Un Giuda anche tra noi"

Pier Ferdinando Casini

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CHIANCIANO (SIENA) - Il primo saluto è per Enrico Mentana, la madonna pellegrina terzopolista, che sale sullo stesso palco per intervistarlo anche se in realtà riuscirà a porre ben poche domande: «Siamo tantissimi - dice Pier Ferdinando Casini alla sua platea -, ma noi dobbiamo ammetterlo con sincerità: in venti giorni Mentana ci ha già sconfitto, è al 10% con il terzo polo. Dobbiamo raggiungerlo. Prima Mentana, poi Bersani e Berlusconi. Oggi è l'avversario da battere», insiste il leader dell'Udc proprio mentre comincia a concludere la festa del suo partito jeans, giacca blu e camicia azzurra, un po' formale e un po' casual, un po' leader serio e un po' eterno ragazzo. D'altro canto chi sono i terzopolisti? Un gruppo di splendidi sessantenni che sente sia arrivato il suo momento. E il direttore de La7 è uno cacciato da Berlusconi che per la prima volta nel suo piccolo prova a sfidare la corazzata e ha successo. Pier lo guarda e dice: «T'è bastata una settimana e sei già al 10%, noi con tutta 'sta fatica siamo al sei e mezzo». Dunque, Casini. Anzi: dunque, Berlusconi. Perché il centro di gravità permanente di Pier resta ancora Silvio. Il tentativo di alleanza, il rifiuto, la campagna acquisti, i tanti no accompagnati da sì, la critica al governo con l'offerta di collaborazione su singoli provvedimenti. A tenere banco anzitutto è lo strappo dei siciliani del sabato, l'annuncio che se si vira a sinistra vanno via. La conferma alle voci che circolano da qualche giorno, si preparano a dare soccorso al Cavaliere. Casini pensa a loro per i primi venti minuti di discorso. Rivendica con orgoglio: «Siamo l'unico partito che è rimasto all'opposizione sia di Prodi che di Berlusconi». Quindi si entra nel merito della campagna acquisti e Mentana domanda dritto se è vero che gli è stato offerto il ministero dello Sviluppo. Lui prima traccheggia: «Se pensi che il nostro prezzo è così basso è come se a te offrissero la direzione della Gazzetta di Lecco». Quindi si trincera: «Top secret». Poi esplode: «Ma dai, è chiaro che ci hanno offerto di tutto e di più». Se la prende con le operazioni «soltanto furbe». E allora Mentana domanda proprio se non teme l'offensiva di Berlusconi: «Scusa Enrico, prima siamo stati alla mensa. Se c'era un Giuda persino tra i dodici apostoli pensa quanti ce ne possono essere in un gruppo parlamentare». Si inorgoglisce: «Abbiamo iniziato la legislatura con trenta deputati e siamo quasi a quaranta, non l'avevamo al Senato e ora l'abbiamo». Quindi alza l'asticella del dibattito: «Il problema non è la contabilità numerica ma la politica. Quando vedo che Berlusconi insiste sui 316 che gli servono per andare avanti dà un segno di debolezza. Se aveva 100 deputati di maggioranza e adesso è nella stessa situazione di Prodi con uno o due voti di più significa che ammette la sua sconfitta. Sono problemi che non ci devono interessare, non dobbiamo perdere tempo dietro ai tatticismi ma lavorare per gli italiani». Mentana lo interrompe e legge un flash di Berlusconi che in contemporanea sta parlando a Roma ad Atreju, la festa dei giovani: «Berlusconi ha detto: centristi con noi anche contro il loro leader». In sala si levano fischi. Un coretto: «Buffone, buffone». Casini non si scompone: «A noi Berlusconi è simpatico per questo: non è riuscito a sposare me, ora prova con voi», fa alla platea. Ma si levano proteste. Pier si lancia: «Secondo me Berlusconi non riesce manco a mettere in piedi il gruppo di responsabilità nazionale alla Camera di venti deputati. È un problema suo». Il leader dell'Udc rivendica: «Non me li ricordo più. Giovanardi, Baccini, Galati... aiutatemi chi c'era... Rotondi, Pionati. Ogni volta che ha sottratto qualcuno ha pensato che il problema dell'Udc fosse risolto. Pensa che comprando Ibrahimovic si vinca il campionato». Sottolinea di essere stato il primo a credere nell'innocenza di Calogero Mannino (e difende Dell'Utri contro l'assalto dipietrista). Casini rilancia. Non vuole un accordicchio ma rilancia per un patto più complessivo. Confessa: «Non abbiamo fatto un voto di castità. Abbiamo l'ambizione di governare il Paese». Non punta a ottenere dei posti, bensì a «cambiare l'Italia». «Aggiungere un posto a tavola non interessa a questo popolo di democristiani». Ricorda: «Noi abbiamo proposto un governo di responsabilità, non siamo ai saldi di fine stagione. Ribadisce la richiesta di dimissioni del governo e «poi si apre una fase nuova». Avverte: «Non andiamo a fare i tappabuchi perché Fini se n'è andato. Abbiamo la vocazione del governo ma ci vogliamo arrivare alle nostre condizioni. Non vogliamo entrare in un governo dove saremmo solo appendici». Si spinge sul terreno disegnato dai siciliani filo-pidiellini: «Proponiamo un patto sui temi eticamente sensibili. Chiediamo il quoziente familiare o qualcosa di simile. Provvedimenti che abbiamo sempre chiesto». Niente sostegno al momento, ma anche l'Udc si prepara a un aiuto voto per voto.

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