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Napolitano tace su Silvio e difende Gianfranco

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'uscita del policlinico Agostino Gemelli, dove è stato in visita ai familiari del presidente emerito Francesco Cossiga

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Strano. Strano che uno come lui abbia commesso questa leggerezza. Napolitano è sceso in campo. Prima aveva detto di voler rimanere fuori dalla contesa tra Fini e Berlusconi. Poi però, tra il presidente della Camera e il presidente del Consiglio, ha chiaramente espresso la sua preferenza per il primo. Nell'intervista pubblicata ieri da l'Unità, il presidente della Repubblica spiega: «Si è aperto un serio conflitto politico dentro la coalizione uscita vincitrice dalle elezioni 2008. Non posso, naturalmente, entrare nel merito di quel conflitto». Subito dopo, la giornalista Marcella Ciarnelli dell'Unità chiede dell'attacco al presidente della Camera e Napolitano risponde: «Ho sempre ritenuto che nessun contrasto politico debba investire impropriamente la vita delle istituzioni. Perciò è ora che cessi una campagna gravemente destabilizzante sul piano istituzionale qual è quella volta a delegittimare il presidente di un ramo del Parlamento». Dunque, Napolitano sconfessa in parte se stesso. E dimostra di usare due pesi e due misure, quando si tratta di Fini e di Berlusconi. L'estate scorsa, per esempio, gli italiani si sono trovati di fronte a una dura campagna di stampa nei confronti di Berlusconi, a colpi di interviste a prostitute, sempre gentilmente chiamate escort. Sono state pubblicate le foto della casa del premier, persino della toilette; si sono ascoltate le registrazioni delle conversazioni tra il capo del governo e una donna sull'istituzionale argomento dell'autoerotismo. Ma il capo dello Stato, in quella circostanza, non disse una parola. Interviste a Noemi Letizia, alla madre, al padre, la neodiciottenne inseguita sotto casa, a scuola, ovunque. Dal Quirinale, silenzio assoluto. Solo un intervento dopo quasi due settimane dall'esplosione del caso D'Addario, ma non per difendere la presidenza del Consiglio, bensì - più in generale - l'Italia: il 29 giugno, Napolitano propose infatti una tregua delle polemiche sino al G8, che sarebbe cominciato dieci giorni dopo. Poi, chiuso il vertice internazionale all'Aquila, si lasciò andare a un generico appello d'ordinanza a continuare nel rispetto del “cessate il fuoco”. Che durò poco: appena qualche ora e riprese la campagna contro Berlusconi.   Tanto per ricordare l'aria che tirava un anno fa, basta riprendere le parole pronunciate dallo stesso Fini due giorni dopo lo scoppio del caso della prostituta barese. Il Cavaliere affannosamente provava a gridare il suo sdegno: «È solo spazzatura. E io di spazzatura me ne intendo perché a Napoli l'ho eliminata». E il presidente della Camera colse l'occasione per una delle sue velenose frecciatine: «C'è il rischio di minore fiducia dei cittadini verso la politica e le istituzioni, cioè il fondamento della democrazia». Non solo, ma Fini aggiunse un'altra puntura di spillo: «Una democrazia impotente e inefficace alla lunga alimenta progetti bonapartisti». Napolitano, si sepe, approvò. Infatti, quando subito dopo il G8 Berlusconi provò ad accelerare sul disegno di legge che limitava l'uso delle intercettazioni, il Capo dello Stato frenò proponendo «scelte condivise». Difesa delle istituzioni, intercettazioni, libertà di stampa: un anno dopo, torna in scena la stessa commedia, stesse parti ma con protagonisti invertiti. E deve essere stata proprio dura per uno come Napolitano invocare di fatto il bavaglio. La qual cosa fa un certo effetto. Perché la difesa della libertà di stampa è un ritornello del suo mandato. E anche prima dell'incarico al Colle. Già nel '93, quando Napolitano era presidente della Camera e il Cavaliere un imprenditore che affermava che - se fosse stato cittadino di Roma - avrebbe votato Fini sindaco, Giorgio Napolitano disse: «Bisogna garantire soprattutto l'equilibrio nell'uso dei mezzi di informazione». Nel suo discorso alle Camere, all'atto dell'insediamento come capo dello Stato, tredici anni dopo, dichiarò un «convinto impegno per garantire pluralismo e libertà di informazione come condizione dell'imprescindibile di democrazia». Il 9 aprile 2008, a poche ore dal voto che riporterà Berlusconi a palazzo Chigi, avverte: «Un'informazione libera e indipendente è la discriminante fondamentale tra i sistemi democratici e i regimi autoritari».   Il successivo 5 luglio, con Berlusconi da poco insediato, Napolitano torna a ribadire: «Essenziale è innovare gli strumenti di comunicazione per rafforzare le istituzioni democratiche e rendere vitale la partecipazione democratica». A marzo 2009, il presidente della Repubblica parla da Urbino ed evidenzia: «La crescita di una informazione libera e pluralistica dipende non solo dalla qualità dell'impegno professionale nel nuovo e complesso panorama dei media, ma anche dalla responsabilità di interpretare e raccontare compiutamente la realtà (...) avendo come costante punto di riferimento i principi e i valori sanciti dalla Costituzione». A giugno 2009, quando già impazza il caso Noemi e si è appena votato per il Parlamento di Strasburgo, nuovo monito: «La libertà di informazione è il cardine dell'Europa». E siamo al 2010: lo scorso aprile, Napolitano non cambia idea: «Essenziali restano la qualità dell'impegno professionale, il rigore del lavoro quotidiano, la responsabilità nell'assicurare quella informazione libera e pluralista». Il 19 giugno, meno di due mesi fa, insiste: «Nella qualità dell'impegno e del lavoro di ogni giornalista, nella professionalità, nel rigore, nell'equilibrio, nel tranquillo coraggio di chi si dedica a questo quotidiano lavoro» c'è «il maggior presidio della libertà e del ruolo della stampa e dell'informazione». A Ferragosto, sulla graticola della stampa ci finisce Fini, e allora Napolitano chiede a tutti di stare zitti.  

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