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Michele De Feudis BARI Moderato e teodem a Roma, con la bandiera rossa in Puglia.

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Nell'ultimoscontro congressuale, infatti, la diatriba aveva riguardato gli orizzonti delle alleanze per costruire il nuovo cartello anti-Berlusconi. Il segretario nazionale, eletto con il voto delle primarie, si era dichiarato sensibile a riallacciare i rapporti con la sinistra alternativa, non rappresentata in Parlamento nell'ultima legislatura. E su questa tesi aveva riscontrato l'opposizione più o meno dichiarata dell'Area democratica, timorosa di uno sbandamento del partito verso posizioni intrise di radicalismo. Le recenti evoluzioni del dibattito interno dimostrano come gli ex popolari in Puglia siano i primi sostenitori della ricandidatura di Nichi Vendola, governatore uscente e leader del piccolo partito Sinistra ecologia e libertà. Dallo scudocrociato alla difesa delle ambizioni dell'ex parlamentare di Rifondazione comunista il passo è breve. L'assessore regionale del Pd Fabiano Amati, di estrazione democratico cristiana, spiega questo ossimoro con ragioni culturali e politiche: «La giunta Vendola ha realizzato sul piano legislativo le intuizioni presenti negli atti dei governi della Dc. Mi riferisco alle politiche per la famiglia dell'esecutivo guidato da Ciriaco De Mita nel 1989...». Di certo Pier Ferdinando Casini non è intenzionato ad appoggiare un candidato proveniente dalla sinistra ex comunista, mentre Massimo D'Alema nell'ultima assemblea regionale del partito aveva rintuzzato la platea dei sodali di Fioroni e Marini (rumoreggiavano contro un accordo con i centristi) ricordando che «senza un allargamento della coalizione non si vincono le regionali. E magari cadono anche le giunte con l'Udc di Foggia e della Provincia di Brindisi...». Amati non si scompone: «Se l'Udc vuole allearsi con noi, allora deve attenersi alle regole democratiche. In questo sono dalemiano: i candidati della nostra coalizione si scelgono con la consultazione di iscritti e sostenitori». Nella Capitale, invece, i dissapori della corrente degli ex popolari per la candidatura di Emma Bonino sono evidenti. Eppure l'esponente radicale sui temi etici (diritti civili, aborto ed eutanasia) ha posizioni praticamente sovrapponibili a quelle del governatore della Puglia. Enzo Carra ne contesta il profilo troppo marcato: «Con lei si perde». Per l'esponente cattolico Pierluigi Castagnetti, ex segretario del Ppi, «la Bonino non è morfologicamente competitiva con la Polverini, troppo liberista, indigesta anche all'elettorato di sinistra». Poi aggiunge che anche sul piano metodologico si tratta di una opzione non condivisibile. E tocca, infine, il tasto dell'orgoglio identitario: «Possibile che il secondo partito italiano, nella seconda regione italiana, non sia in grado di esprimere una propria candidatura? Sarebbe inquietante e doloroso». E così i postdemocristiani del Pd diventano paradossalmente, sostenitori delle primarie nelle due regioni, ma per motivi opposti: in Puglia per lanciare la volata al laicista Vendola, nel Lazio per scongiurare l'appoggio del centrosinistra alla libertaria Bonino. Con la benedizione di Franceschini: «La scelta dei candidati e la scelta del tipo di alleanze vanno fatte nelle sedi proprie, in questo caso nelle sedi regionali. Nel nostro statuto però sta scritto che i candidati si scelgono con le primarie, che non sono un metodo per creare i problemi ma per risolverli». I dalemiani, però, non restano a guardare. Il senatore pugliese Nicola Latorre non ci sta e non le manda a dire: «Se qualcuno pensa di contribuire alla sconfitta - ha affermato al "Corriere della Sera" - per poter dire che aveva ragione, deve sapere che con Bersani faremo meglio del recente passato». Ma l'ultima parola spetterà solo alle urne.

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