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Il treno che unisce le città Ecco MiTo, FiBo e RoNa

Inaugurata la nuova tratta dell'Alta velocità

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Certo, chi s'è trovato a prendere il treno Milano-Roma di ieri mattina alle 9.30 e poi s'è messo a leggere i giornali deve aver avvertito un leggero senso della beffa addosso. Sulla pelle. Sulla pelle d'oca. Visto che tanto per cominciare nei vagoni faceva un gran freddo al punto da far scattare una protesta dei viaggiatori già all'altezza di Reggio Emilia. E il capotreno, poverino, provava a spiegare in tutte le salse e in tutte le lingue che l'aria calda era già stata fissata a 23 gradi, il massimo era a 24, che lui poteva spararla a più non posso ma il loro (e anche il suo) destino era quello, beccarsi il freddo della Pianura Padana che poi sarebbe diventato dell'Appennino e giù così fino a Roma viaggiando col cappotto indosso. I giornali invece annunciavano le sfavillanti meraviglie dell'Alta Velocità, delle grandi inaugurazioni del giorno prima, dei paroloni e delle mirabolanti novità in arrivo: Napoli e Milano unite in quattro ore, un'ora in più e s'arriva a Torino, Roma e Milano in appena tre, anche meno: due ore e tre quarti. Ma il destino beffardo è quello che attende coloro che si ritrovano nel dopo-festa, nel dopo-inaugurazione, soprattutto se l'arrivo a Roma non rientra nemmeno nelle tre ore e mezza stabilite ma in quasi quattro. Succede, serve a tornare sulla terra. O meglio sui binari. I nuovi tempi di percorrenza saranno operativi alla fine della settimana. La strada verso la crescita dell'Alta Velocità è ancora lunga. Ma quel che è chiaro sin d'ora è che finirà per incidere non poco nelle vite di tutti i giorni. Come furono le metropolitane nelle città. La U-Bahn e la S-Bahn a Berlino. E come furono l'apertura delle stazioni nei quartieri di periferia che portarono in tutte le capitali d'Europa a mescolare le classi soiali, i ceti, i modi, i costumi e finanche i modi di parlare, gli slang. Dunque oggi non è futuribile cominciare a immaginare le metropoli non più fini a se stesse. Bensì a pensare a nuovi agglomerati urbani. La MiTo, che non è un modello di Alfa Romeo ma l'unione delle due aree metropolitane di Milano e Torino, la capitale della finanza e quella delle lamiere. O FiBo, Firenze e Bologna che già dai prossimi giorni saranno collegate in pratica da un grande tunnel di ottanta chiometri e raggiungibili vicendevolmente in poco più di mezz'ora. O RoNa: si potrà andare dalla Capitale all'ombra del Vesuvio in poco più di un'ora. Sono tempi appunto tra trasporto urbano su ferro, visto che Rebibbia-Laurentina o Anagnina-Battistini, ovvero le tratte dei due estremi delle linee A e B di Roma non implicano tempi tanto dissimili. Per capire cosa e quanto cambierà nella nostra vita, o almeno per averne una vaga idea, è sufficiente andare all'estremità della stazione di Milano centrale, da dove partono i treni regionali. Quelli che si chiamano i convogli dei pendolari. Uno di quelli per Torino parte alle 12 e 15. È uno di quei treni a due piani. A bordo ci sono soprattutto studenti, un gruppo di ragazze che parla dello shopping da fare nel pomeriggio o dei flirt tra compagni di classe; muratori rumeni che si organizzano con un cartone e giocano a carte; qualche colf russa o ucraina; un marocchino che parla a telefono in continuazione; un papà che gioca con il suo bimbo. Il treno parte piano, viaggia lungamente a 50 all'ora, con punte a 70, attraversa la periferia ovest, i palazzi cominciano a farsi alti e marroni, i panni stesi, qualche nuovo edificio con tanto vetro. C'è il sole, tredici minuti dopo si arriva a Rho, il nuovo quartiere fieristico, tutt'attorno di vedono le fabbriche, i vecchi magazzini generale. Dopo si comincia a correre, si sente il brivido dei 142 all'ora. La velocità s'avverte dal tremolìo, il caro vecchio tremolìo della ferraglia che si fa più forte oltre i 150. Tappa a Magenta, i vagoni si cominciano svuotare, salgono e scendono soprattutto studenti, ragazzi, con gli zaini, i telefoni, gli IPod. Alle 12 e 41 sosta a Magenta, quattro minuti dopo si può gustare il brivido si sconfinare, addio Lombardia benvenuto Piemonte. Non c'è nebbia, in lontananza dai finestrini di destra si intravedono le Alpi che poi si faranno sempre più nitide nello splendore argenteo della neve. L'orologio segna le 13.11, tappa a Vercelli, il treno comincia a ripopolarsi, arrivano donne di mezza età, altri tredici minuti e s'arriva a Santhià. Poi s'accelera di nuovo, si tornano a toccare i 150, punta a 153 all'ora e dai vetri c'è sempre meno campagna e sempre più fabbrica, Chivasso, quando mancano sedici minuti alle 14. Poi il treno rallenta e procederà piano. Tornano i palazzoni, le grandi insegne delle banche torinesi. A Torino Porta Susa, che diventerà il nodo dell'alta velocità, si entra in galleria e si esce direttamente a Porta Nuova alle 14 e dieci. Quasi due ore. Ritorno con l'alta velocità. Partenza alle 16.23. Gli schermi nei vagoni informano con le mappe dove ci si trova. Il primo tratto è lento, il treno viaggia intorno ai cento all'ora. Appena usciti da Torino l'accelerazione è impressionante, sette minuti dopo l'addio alla stazione si è già a 180. A Settimo Torinese si superano i duecento. Un piacevole tramonto accompagna il viaggio. Chivasso è raggiunta in un quarto d'ora, la velocità è già 245. Simpatiche hostess girano con carrelli come quelli degli aerei, servono bevande e raccomandano i pasticcini, dicono che sono squisiti, soprattutto quelli secchi. C'è chi chiede un prosecco, è il viaggio inaugurale e bisogna brindare. A Rondissone si toccano i 270 e si affianca l'autostrada. In effetti le auto se non ferme sembrano davvero procedere a passo d'uomo. Non ci sono tremolii, solo un rumore sordo accompagna lo scorrere sui binari. Sarebbe silenzio se non fosse per un pannello non sistemato al meglio. Tutti aspettano i trecento che vengono toccati all'altezza di Santhià, non ci si ferma mai. A quella velocità si viaggia per poco perché bisogna rallentare. Poco più di cinquanta minuti e già si riconosce la stazione di Milano. MiTo o ToMi è una realtà.

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