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La proposta di colpire la speculazione internazionale - rilanciata da Gordon Brown - sembra rispondere a esigenze ragionevoli, ma non è così.
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Eche è impossibile che quest'ultimo funzioni se è intralciato da troppe tasse e regole. La finanza fa affluire i risparmi delle famiglie alle imprese, ma soprattutto serve a far pervenire informazioni affidabili agli operatori. Grazie al mercato, le imprese sono costantemente «monitorate» e costrette ad evitare comportamenti non virtuosi. Introdurre la Tobin Tax e colpire le transazioni finanziarie finirebbe per eliminare una grande quantità di scambi. Pure un prelievo dello 0,5% su ogni contratto, quale aveva ipotizzato lo stesso economista già nel 2001, metterebbe a rischio la catena globale dei mercati azionari. Invece bisognerebbe comprendere da dove provengono le maggiori perturbazioni all'economia. Ed è ormai sempre più evidente come siano i governi, con i loro programmi, a impedire il buon funzionamento dei mercati. Con le loro nazionalizzazioni e i loro salvataggi, con gli «stimoli», i maggiori Paesi dell'Occidente hanno movimentato masse enormi di risorse e secondo logiche in larga misura arbitraria. Per giunta, le banche centrali continuano a tenere una politica espansiva (caratterizzata da bassissimi tassi d'interesse) e in questo modo producono una specie di euforia del tutto artificiale. Fortunatamente, Brown è ormai un uomo del passato e vi è un generale consenso in merito al fatto che, alle prossime e imminenti elezioni, sarà la volta dei conservatori. Per giunta, una proposta come quella della Tobin Tax può funzionare solo è applicata da tutti: ci vorrebbe, insomma, quanto meno che l'intero G20 fosse disposto ad accogliere la proposta. Una cosa difficile da immaginare. L'impressione è che ci si trovi di fronte alla solita manovra demagogica. Si agita il fantasma dei «cattivi» speculatori, quasi a far credere che se le economie sono crollate la responsabilità prima è di quanti operano sui mercati. L'evidenza ci dice che sperperi e malversazioni vengono da quanti gestiscono i governi e quindi soldi che non sono loro. Non è il mercato che va combattuto, ma la sua costante negazione per iniziativa di amministratori senza scrupoli e gruppi di interesse assai più abili ad ottenere «incentivi» e «rottamazioni» che non a vincere la sfida che deve giocare chi è chiamato a soddisfare i consumatori.
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