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Fioravanti torna libero

Giuseppe Valerio Fioravanti

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Se ne va a spasso con tre bimbe in un normale lunedì pomeriggio Valerio Fioravanti. L'ergastolo, di fatto, non è un «fine pena mai», come dimostra il suo caso. L'ex terrorista dei Nar, condannato al carcere a vita per la strage alla stazione di Bologna del 1980, è tornato in libertà dallo scorso aprile, dopo 23 anni in cella e altri cinque in libertà vigilata. Eppure «Giusva» è tornato in libertà non grazie a benefici penitenziari o sconti di pena, ma in base al combinato disposto di due norme del codice penale introdotte per mettere in pratica l'articolo 27 della Costituzione secondo cui le pene devono «tendere alla rieducazione del condannato». Ergastolani inclusi. Fioravanti ha potuto lasciare il carcere grazie all'articolo 176 del codice penale che prevede la liberazione condizionale se il condannato ha «tenuto un comportamento tale da fare ritenere sicuro il suo ravvedimento». Alla libertà vigilata possono accedere anche gli ergastolani, a patto che abbiano scontato almeno 26 anni di carcere. Durante il periodo di libertà condizionata Fioravanti non ha potuto allontanarsi dalla città, ha dovuto sottostare ad altri obblighi di sicurezza, e di giorno ha lavorato per l'associazione «Nessuno Tocchi Caino». Lo ha fatto per cinque anni, trascorsi i quali Fioravanti è da ritenersi riabilitato. La sua pena è dunque estinta. Così, ora, può passeggiare libero. Le tre bimbe sono abbastanza impegnative, vista la confusione, ma lui ha il tempo per dedicarsi ad altro. Di sicuro non è toccato dalle reazioni di chi è indignato per la sua vicenda: per i familiari delle vittime della strage non andava concessa la libertà condizionata: «Se torniamo a nasconderci dietro barricate ideologiche, si ferma nuovamente tutto, torniamo allo scontro frontale e non si va più da nessuna parte», ribatte l'ex capo dei Nar che cerca un dialogo con tutti, compresa la Storia. «Dovremmo ricordarci - continua l'ex terrorista - che la nostra Costituzione, non a caso è stata scritta da ex terroristi. Alcuni di questi sono stati anche condannati a morte e poi hanno avuto occasione di scrivere la Costituzione e l'hanno scritta in questo modo - dice riferendosi all'estinzione della sua pena -. Quindi non è un caso che la nostra Carta abbia previsto anche meccanismi di riabilitazione». Intanto sono state riaperte le indagini sulla strage del 1980. Per Fioravanti quell'evento è «un problema storico, politico, culturale. La magistratura farà la sua parte, ma questo lavoro deve esser fatto anche da intellettuali, giornalisti. Ci sono spazi per lavorare». Con i nuovi elementi «bisognerebbe rivedere quel contesto, per il bene di tutti, del Paese». Il 51enne parla di nuove tesi che raccontano di un patto dei servizi segreti italiani, una sorta di diritto di transito per i terrosti, che metteva l'Italia al riparo da attentati. «Le idee sono due - dice Fioravanti - Carlos dice che "qualcuno ha voluto sabotare i buoni rapporti che avevamo con i servizi italiani"; Cossiga spiega che nessuno li ha sabotati, ma che si sono sbagliati i palestinesi nel trasportare l'esplosivo». Quale che sia la tese «il problema è che l'Italia era membro della Nato, alleato di Israele e dell'America, e aveva dato carta bianca a questi palestinesi, a patto che risparmiassero i cittadini italiani». «Cossiga ci disse una volta che noi non avremmo avuto la verità, né nostra figlia, ma nostra nipote. Eppure i tempi si possono accorciare».

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