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La Russa junior: «Dobbiamo tanto anche a Berlusconi»

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Per lui ogni congresso di Alleanza nazionale è un fratellino in arrivo. «Dunque», fa guardando in alto e cercando di ricordare bene le date. «Allora. Fiuggi 1995, subito dopo, il 6 febbraio, è nato Lorenzo Luciano Cocis. Bologna 2002, dopo è nato Leonardo Apache». Poi si ferma un attimo, fissa dritto e apre il sorriso: «Stavolta, che io sappia, dovrebbe filare tutto liscio». E ride. «Scherzavo, ovviamente», e ride ancora. Ride Geronimo La Russa, figlio di Ignazio. «Eh, noi La Russa siamo così. Abbiamo tutti un nome indiano e un nome politico. Io per esempio mi chiamo Antonino Geronimo. Antonino perché così si chiamava mio nonno, fondatore del Msi a Paternò. Mio fratello anche: Luciano per Luciano Laffranco». Laffranco, l'ideatore del «partito degli italiani», uno dei primi tentativi dei missini di uscire dal recinto, di apertura verso l'esterno a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, scomparso proprio qualche anno prima dell'arrivo di An. L'ultimo nato si doveva chiamare anche Pinuccio, in onore di Tatarella, «ma era troppo complicato. Alla fine mio padre ha lasciato perdere». Perché i La Russa sono così. Un connubio profondo, radicato, intrecciato con la politica e la destra. Un legame irrinunciabile. Geronimo lo confessa: «Lo so, sarebbe banale se dicessi che la politica si respirava a casa. Ma è così. Non ci posso fare nulla. Se vado a prendere le foto di me piccolissimo, ne trovo una in cui sono in braccio a mio padre davanti alla sede del Msi in via Mancini a Milano. Avevo un anno. E se penso alle vacanze mi ricordo quelle in Grecia con papà, Fini, la figlia di Fini, Giuliana. Se mi dice di Roma, penso alla Cinquecento bianca con la quale Pinuccio mi portava in giro a vedere la città». E se diciamo An? «Mi vengono in mente le Eolie». Le isole Eolie? «Sì, era un Ferragosto. Papà, Gasparri, Laffranco e Tatarella. Pinuccio che insisteva e diceva "bisogna credere in Gianfranco, sarà lui a portare la destra a un nuovo approdo". Fu allora che sentii parlare per la prima volta di quella che poi sarebbe diventata An». Lui, Geronimo, classe 1980, non fa politica attiva. È avvocato nello studio milanese Libonati-Jaeger, una breve esperienza come consigliere di zona. Si siede su un divanetto bianco nel retro del palco, parla spedito come il padre ma, a differenza del ministro, che ha mantenuto nella parlata un retrogusto siciliano, Geronimo no, gesticola come un siculo ma è un meneghino doc. Ascolta il papà dal palco, poi s'aggira nella platea e infine prova a tirare le somme nel backstage, quello per pochi intimi, una zona così privata che vip, collaboratori e portaborse fumano come se fossero a casa loro. La Russa junior ricorda anzitutto Fiuggi. «Il pathos, l'emozione». «Mio nonno decise di non aderire - racconta oggi -. Disse: "Ho quasi novant'anni, ho avuto in tasca sempre la tessera dello stesso partito: perché devo cambiare proprio ora?". Però approvò che il figlio, Ignazio, fosse tra i fondatori di An. E certamente sarebbe stato anche contento di quello che fa oggi». Questo non è forse un congresso troppo freddo? «È un approdo naturale, lo sappiamo tutti - risponde Geronimo -. È un percorso iniziato negli anni Settanta con la Destra nazionale di Almirante. Allora era troppo presto, nel '95 i tempi erano maturi. Quella fu la vera svolta, il vero cambiamento. Allora abbiamo lasciato la casa del padre. Oggi siamo pronti a fare un nuovo passo. Ne siamo tutti consapevoli». E Fini? Che ne sarà Fini? «Guardi, mi sembrerebbe davvero assurdo se mi mettessi io a indicare una strada. Fini ha dimostrato di avere grande lungimiranza, sceglierà lui il ruolo. Non ha mai sbagliato una mossa, ha saputo sempre vedere oltre. Certo, lo immagino alla guida del Paese». E Berlusconi? «Un grande leader. Dobbiamo ricordare che ha fatto molto anche per noi. Non tutto. Ma molto sì. Non dimentichiamolo». Il giovane avvocato non nega che alla fusione ci si arrivi non senza attriti: «Questo è un grande matrimonio. E come sempre accade quando due famiglie si uniscono, ci possono essere tensioni, attriti, incomprensioni. Ma questo è un matrimonio che si celebra dopo un grande amore, per libera volontà e non per costrizione. Pertanto, una volta che sarà celebrato non faremo più tanta attenzione al mondo dal quale i membri provengono». Geronimo lavora è impegnato nel sociale. La sua Milano Young, l'associazione fondata da otto rampolli (oltre a lui anche Barbara Berlusconi, Nicolò Cardi, Paolo Ligresti, Mauro Pagani, Micol Sabbadini, Timothy Schvili e Francesca Versace), cerca di sensibilizzare alla solidarietà. E così, lui, figlio del ministro della Difesa, quest'anno si impegnerà sul tema dei diritti civili: «Faremo un grande convegno. Non ce ne occuperemo mai abbastanza».

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