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Francesco Damato Antonio Di Pietro non avrà probabilmente ...

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Più che «offrirsi a qualsiasi uomo politico», egli sarà convinto di essere stato corteggiato da tutti nei primi mesi del 1995. Fu allora che Di Pietro, contravvenendo all'amichevole consiglio ricevuto da Francesco Cossiga di «stare per un po' di tempo tranquillo» e di limitarsi a vedere «che cosa succede», come lui stesso racconta nel suo libro Il guastafeste, si ritrovò in quella che ai suoi ex colleghi della Procura di Milano apparve una strana «girandola d'incontri». Quella girandola si era aperta proprio con Cossiga, affrettatosi a procurargli un incarico di consulente in una commissione parlamentare, e si era sviluppata, fra gli altri, con Mirko Tremaglia, Rocco Buttiglione, Pier Ferdinando Casini, Clemente Mastella e Silvio Berlusconi. Dal quale si sentì offrire, per quanto il Cavaliere non fosse più in quel momento presidente del Consiglio, nientemeno che le cariche di capo della Polizia o dei servizi segreti, in previsione evidentemente di un suo ritorno a Palazzo Chigi. Dove Berlusconi tornò solo sei anni dopo, nel 2001. Nel frattempo Di Pietro si era accasato, diciamo così, a sinistra prima partecipando alla fondazione dell'Ulivo, poi entrando nel primo governo di Romano Prodi, poi ancora lasciandosi candidare dal Pds al Senato nel collegio del Mugello, poi creando un suo movimento, sempre nell'area prodiana, infine apparentandosi nelle elezioni del 2008 con il Pd di Walter Veltroni. Per capire se nella girandola d'incontri del 1995 Di Pietro fosse più un corteggiato o un corteggiatore, è forse sufficiente affidarsi alle parole ch'egli stesso adopera nel suo Guastafeste descrivendo il colloquio con Berlusconi nella villa di Arcore: quello che avrebbe mandato in bestia il suo ex superiore Francesco Saverio Borrelli per l'impressione data allo stesso Berlusconi, e da questi rivelata poi in televisione, di avere firmato controvoglia qualche mese prima l'atto giudiziario a suo carico per le indagini sulla corruzione di alcune guardie di finanza. «Ci siamo annusati», dice testualmente l'ex magistrato a proposito di quell'incontro. Ebbene, annusarsi è cosa che presuppone per natura un reciproco interesse. Ciascuno dei due può dire oggi di avere avuto più naso dell'altro: Berlusconi per essere tornato più volte a fare alla grande il presidente del Consiglio e Di Pietro per esserne diventato il suo più visibile e agguerrito antagonista politico, ma insidiando paradossalmente più l'elettorato del proprio alleato che quello dell'avversario. Al quale, visto il consenso di cui il Cavaliere dispone nel Paese, potrebbe risultare vantaggioso persino il referendum che Di Pietro è tornato a sbandierare in questi giorni contro la legge che sospende i processi ai presidenti della Repubblica, del Consiglio e delle Camere durante l'esercizio dei loro mandati.

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