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E a sostegno di Gramazio torna in campo Caradonna

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E il comizio di Domenico Gramazio, introdotto dal figlio Luca e seguito da un breve discorso dell'ex senatore Giulio Caradonna, che il 16 marzo del 1968 guidò la carica contro gli studenti che occupavano «La Sapienza», si è trasformata in una riunione ristretta nel piccolo locale costellato da foto di Almirante (tre) e di Fini (due). Poco importa, quando quello che conta non è il numero ma lo spirito, non la quantità ma la «qualità». E ieri all'Appio-Latino, ha detto Gramazio, c'erano le «radici della destra italiana», come Tommaso Luzzi, oggi consigliere regionale di An nel Lazio e negli Anni '70 a capo della sezione intitolata ad Angelo Mancia e a Mario Zicchieri. Uno ucciso davanti casa, nel quartiere Talenti, il 12 marzo 1980, e il secondo freddato a pistolettate il 29 ottobre di cinque anni prima al Prenestino. O come Marcello Moscato, che si presenta come ex pilota degli Sm79, l'aerosilurante Savoia-Marchetti che fendeva il cielo durante la seconda guerra mondiale, e Alberto Rossi, capo dei volontari nazionali che quel 16 marzo di quarant'anni fa diresse gli scontri in piazza della Minerva e che ricorda quando indossava la camicia verde («le abbiamo inventate noi, ma quale Bossi...!») ai funerali del Maresciallo Graziani. Difficile però sostenere che «non è una riunione nostalgica», come ha sottolineato Gramazio presentando «la riconferma» del figlio Luca in consiglio comunale. La nostalgia, infatti, è nell'aria. Si legge negli sguardi di vecchi «camerati» che s'incontrano dopo una lunga assenza. Aleggia intensa negli abbracci e nei ricordi, nel passato che si sovrappone prepotente al presente. Anche se si parla delle prossime elezioni. E se il candidato nazionale del Pdl mette in guardia sulla possibile dispersione del voto: «Altre destre per noi non esistono e sono pericolose, perché ogni voto che non va al Pdl può essere regalato a Veltroni, che mente dicendo che non è stato comunista». Anche se l'anziano e malandato Caradonna, che arriva sorretto a due stampelle con la moglie Ortensia e con gli occhi lucidi per la commozione, richiama all'unità malgrado gli errori (il riferimento indiretto è al presidente di An), perché «uscire dall'anonimato è importante quando c'è una battaglia fondamentale per la ripresa della trincea della Patria» e «perché bisogna eliminare dai posti di comando i campioni del bolscevismo che avvelenano il Paese». Non ci si deve turare il naso, avverte il «federale di Roma» ricordando la frase di Montanelli. Certo «gli errori bisogna vederli». Ma si deve andare a votare comunque con in mente un solo obiettivo: «Sbarrare la strada al comunismo».

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